Chi è Ponzio Pilato, il prefetto della Giudea davanti al quale si svolse il processo a Gesù che si concluse con la crocifissione? Un tiranno crudele e spietato o un funzionario pavido ed esitante, che si lascia convincere dal sinedrio a condannare un uomo che ritiene innocente? Una maschera ironica e disincantata che pronuncia battute memorabili ("Che cos'è la verità?", "Ecce Homo!", "Quel che ho scritto, ho scritto") o una severa figura teologica senza la quale il dramma della passione non avrebbe potuto compiersi? Rimettendo in scena il processo in tutte le sue fasi, Agamben ne propone una inedita e puntuale lettura. Nel dialogo fra Pilato e Gesù, due mondi e due regni si stanno di fronte: la storia e l'eternità, il sacro e il profano, il giudizio e la salvezza.
Opus Dei, "opera di Dio", è la definizione della liturgia secondo la dottrina della Chiesa cattolica. Riguarda l'esercizio del ministero sacerdotale, quanto di più separato, sembrerebbe, dalla prassi che governa le altre sfere della vita. Ma si tratta di una separatezza solo apparente, che racchiude un arcano. È lì che si mette al lavoro l'inchiesta archeologica di Giorgio Agamben, un modo di fare filosofia che come nessun altro sa portare alla luce, nei concetti più comuni, impronte nascoste, rivelatrici di filiazioni insospettate. Andare al cuore del "mistero del ministero" significa allora scoprire, ripercorrendo un'elaborazione teologica che risale al cristianesimo primitivo, il rilievo immenso dell'"officium" - il termine latino per "liturgia" - nella concezione stessa della modernità in Occidente. Idea dell'essere, etica, politica ed economia non hanno altro paradigma se non nell'ufficio. Dal funzionario al militante, l'azione umana si è esemplata sul modello dell'operare del sacerdote, all'interno del quale ciò che l'uomo è si risolve in ciò che l'uomo deve fare. Una strategia onnipervasiva di cui il pensiero sismografico di Agamben registra i primi cedimenti.
Che cos'è una regola, se essa sembra confondersi senza residui con la vita? E che cos'è una vita umana, se in ogni suo gesto, in ogni sua parola, in ogni suo silenzio non può più essere distinta dalla regola? È a queste domande che il nuovo libro di Agamben cerca di dare una risposta attraverso un'appassionata rilettura di quel fenomeno affascinante e sterminato che è il monachesimo occidentale da Pacomio a San Francesco. Se il libro ricostruisce nei particolari la vita dei monaci nella loro ossessiva attenzione alla scansione temporale e alla regola, alle tecniche ascetiche e alla liturgia, la tesi di Agamben è, però, che la vera novità del monachesimo non sta nella confusione fra la vita e la norma, ma nella scoperta di una nuova dimensione, in cui forse per la prima volta la "vita" come tale si afferma nella sua autonomia e la rivendicazione dell'"altissima povertà" e dell'"uso" lancia al diritto una sfida con cui il nostro tempo deve ancora fare i conti. "Come pensare una forma-di-vita, cioè una vita umana del tutto sottratta alla presa del diritto e un uso dei corpi e del mondo che non si sostanzi mai in un'appropriazione? Come pensare la vita come ciò di cui non si dà mai proprietà, ma soltanto un uso comune?"
Questo libro propone la ricostruzione di quattro capitoli fondamentali della cultura europea: la teoria del fantasma nella poesia d'amore del '200 (La parola e il fantasma); il concetto di malinconia dai Padri della chiesa a Freud (I fantasmi di Eros); l'opera d'arte di fronte al dominio della merce (Nel mondo di Odradek); la forma emblematica dal '500 alla nascita della semiologia (L'immagine perversa). Così la ricostruzione della teoria del fantasma nella filosofia medievale apre la via a una interpretazione della teoria dell'amore cortese e a una lettura inedita di alcuni testi poetici: da Cavalcanti a Dante.
Giorgio Agamben ha raccolto in questo volume un'ampia scelta dei suoi saggi inediti o sparsi in riviste oggi introvabili, dal 1980 a oggi. Ordinati in tre sezioni distinte (Linguaggio, Storia, Potenza), i diversi motivi del suo pensiero ruotano ostinatamente intorno a un unico centro, che il titolo compendia nella formula: la potenza del pensiero. In ognuno di questi testi è, infatti, in corso un esperimento, in cui la posta in gioco è ogni...
Nella teologia cristiana la sola istituzione che non conosce fine né tregua è l’inferno. Per questo il modello politico odierno, che pretende a una economia infinita del mondo, è propriamente infernale. Se la chiesa perde la sua vocazione messianica e il suo rapporto con la fine, può solo perdersi nel tempo. Questa conferenza, pronunciata nella cattedrale di Notre-Dame di Parigi l’8 marzo 2009, è una meditazione sul senso politico delle cose ultime.
In breve
Suono e senso non sono mai separabili, ma nemmeno possono coincidere perfettamente: «il gioco – l’agio – fra di essi costituisce il momento poetico del linguaggio, che il filologo e il filosofo devono, ciascuno a suo modo, custodire». In questo volume Giorgio Agamben traccia una sorta di mappa delle categorie portanti della cultura letteraria italiana: tragedia/commedia; lingua viva/lingua morta; biografia/favola; inno/elegia; dialetto/lingua. Come forse in nessun altro dei suoi libri, è possibile scorgere qui gli estremi fra cui il pensiero di Agamben non cessa di muoversi: filosofia e filologia, indagine genealogica e storia, passione per il dettaglio e visione panoramica.
Indice
Avvertenza alla presente edizione - Premessa - 1. Comedìa - 2. «Corn»: dall’anatomia alla poetica - 3. Il sogno della lingua - 4. Pascoli e il pensiero della voce - 5. Il dettato della poesia - 6. Disappropriata maniera - 7. Il «logos erchomenos» di Andrea Zanzotto - 8. Araldica e politica - 9. Il torso orfico della poesia - 10. Parodia 11. La festa del tesoro nascosto - 12. La fine del poema - Appendice - Nota ai testi - Postfazione Profanare il dispositivo di Andrea Cortellessa - Indice dei nom
"Dalla teologia cristiana derivano due paradigmi politici in senso lato, antinomici ma funzionalmente connessi: la teologia politica, che fonda nell'unico Dio la trascendenza del potere sovrano, e la teologia economica, che sostituisce a questa l'idea di una "oikonomia" concepita come un ordine immanente - domestico e non politico in senso stretto - tanto della vita divina quanto di quella umana. Dal primo, derivano la filosofia politica e la teoria moderna della sovranità; dal secondo, la biopolitica moderna fino all'attuale trionfo dell'economia e del governo su ogni altro aspetto della vita sociale". Con quest'opera, qui riproposta con un inedito apparato iconografico, l'indagine sulla genealogia del potere iniziata da Agamben con "Homo sacer" giunge a uno snodo decisivo. Il potere moderno - mostra Agamben non è soltanto "governo", ma anche "gloria" e gli aspetti cerimoniali, liturgici e acclamatorii che siamo abituati a considerare come un residuo del passato costituiscono invece tuttora la base del potere occidentale. Attraverso un'analisi affascinante delle acclamazioni liturgiche e dei simboli cerimoniali del potere, dal trono alla corona, dalla porpora ai fasci littori, lo studioso getta una luce nuova sulla funzione del consenso e dei media nelle democrazie moderne. Un libro che rinnova profondamente tutta la nostra visione della politica.
Giorgio Agamben ha raccolto in una serie di saggi brevi i motivi più urgenti e attuali delle sue ricerche: dalla festa, messa inaspettatamente in relazione con la bulimia contemporanea, alla nudità, di cui vengono indagate le nascoste implicazioni teologiche; dal problema del corpo glorioso dei beati, che non si nutrono e non fanno all'amore, a quello dell'inoperosità come paradigma dell'azione umana. Il punto di fuga verso cui convergono tutti questi temi è la politica, intesa come una soglia in cui teoria e prassi, arcaico e contemporaneo coincidono senza residui, e in cui può muoversi soltanto una scrittura che ha bruciato tutte le sue carte di identità ed è, insieme, filosofia e letteratura, divagazione e scheda filologica, trattato di metafisica e nota di costume.
Il giuramento riveste un ruolo essenziale, in quanto "sacramento del potere", nella storia politica e religiosa dell'Occidente. Tuttavia, malgrado i numerosi studi di linguisti, antropologi e storici del diritto e delle religioni, manca una visione d'insieme del problema, che cerchi di dar ragione della funzione strategica che questa istituzione ha svolto all'incrocio di diritto, religione e politica. Che cos'è il giuramento, se sembra mettere in questione l'uomo stesso come animale politico? Da questa domanda deriva l'attualità dell'archeologia del giuramento proposta dal libro. Attraverso un'indagine di prima mano sulle fonti greche e romane, che ne mette in luce il nesso con le legislazioni arcaiche, la maledizione, i nomi degli dei e la bestemmia, Giorgio Agamben situa l'origine del giuramento in una prospettiva nuova, che ne fa l'evento decisivo nell'antropogenesi, ovvero nel diventar umano dell'uomo, iI giuramento ha potuto costituirsi come "sacramento del potere" perché esso è innanzitutto il "sacramento del linguaggio", in cui l'uomo, che si è scoperto parlante, decide di legarsi al suo linguaggio e di mettere in gioco, in esso, la vita e il destino.
Questo libro di Agamben è dedicato ai problemi del metodo e diviso in tre parti, corrispondenti ad altrettante riflessioni su tre spetti specifici: a) il concetto di paradigma; b) la teoria delle segnature; e) la relazione fra storia e archeologia. Spunto per queste considerazioni è l'indagine sul metodo di uno studioso come Michel Foucault, sul quale Agamben dichiara di aver avuto occasione, negli ultimi anni, di apprendere molto.
Un'indagine sulle strutture che costituiscono il fondamento della cultura occidentale. "Nella tradizione della filosofia occidentale, l'uomo appare come il mortale e, insieme, come il parlante. Egli è l'animale che ha la "facoltà" del linguaggio e l'animale che ha la "facoltà" della morte. Altrettanto essenziale è questo nesso nell'esperienza cristiana. La facoltà del linguaggio è la facoltà della morte: il nesso fra queste due "facoltà", sempre presupposte nell'uomo e, tuttavia, mai messe radicalmente in questione, può veramente restare impensato? E se l'uomo non fosse né il parlante, né il mortale, senza per questo cessare di morire e di parlare?"