Più di vent'anni di laboriosa redazione per un' opera importante e attesa, nella quale Agostino dà una risposta fiduciosa alle difficoltà della ragione e introduce alla vita di comunione con la Trinità. Queste pagine fondono insieme l'indagine del filosofo, l'acume del teologo e l'ardore del mistico.
Discorrendo con il figlio sedicenne Adeodato, Agostino s'interroga sul ruolo del linguaggio nella relazione educativa, a partire dal rapporto tra le parole e le cose. Il dialogo, qui proposto con testo latino a fronte e note di commento, inaugura la riflessione occidentale sul ruolo del maestro e sul significato dell'insegnamento. Una delle prime, spiazzanti conclusioni è che le parole non insegnano e i maestri non hanno alcun ruolo nella formazione dei discenti. Si tratta, però, di un risultato non definitivo, in un confronto aperto che non intende offrire risposte risolutive, ma affrontare dialetticamente il problema filosofico dell'educazione. Le domande ancora attuali che il dialogo pone costringono a ridefinire il compito del maestro e riportano al centro la necessità di avvicinare il discente al sapere aiutandolo a rintracciare la motivazione nella propria interiorità.
Intorno al 416 Agostino compone il "Commento al Vangelo di Giovanni". Frutto non di un lavoro "a tavolino", ma nato nella predicazione liturgica al popolo di Dio, Agostino sceglie non casualmente di commentare il quarto Vangelo. Nella convinzione infatti che il fine dell'esegesi è la carità e che la predicazione è il momento adatto alla dispensazione della parola di Dio, un modo per trasmettere ai fedeli ciò che lo Spirito gli aveva ispirato, tra i quattro Vangeli quello di Giovanni si dimostra per la ricchezza dottrinale e la profondità dei temi spirituali, il più adatto a offrire una parola di Dio ricca ed efficace per la formazione cristiana dei fedeli.