La coscienza morale è stata per secoli la voce indiscussa di Dio che parla dentro. È stata poi, nella stagione moderna, il presidio sicuro dell'autonomia individuale. Oggi è diventata un brusio indistinto, che provoca molti fastidi; esso è affidato alla cura degli psicologi. I filosofi (e anche i teologi) se ne occupano poco. Per capire il destino della coscienza in questo saggio è interrogata la Bibbia. Essa illustra come la voce prenda forma di parola soltanto attraverso un processo disteso nel tempo, che coinvolge la biografia individuale e insieme la cultura tutta del villaggio intorno.
Ma il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? Gesù sembra avere dubbi. La fede è in pericolo, oggi come sempre, oggi più di sempre; così pare. Per ragioni diverse. Ci sono le ragioni legate alla fine civile della religione; nonostante poche voci in contrario, la fede ha bisogno di religione; si edifica sul timor di Dio, su una percezione atmosferica del fiato di Dio sul nostro collo. Tale percezione precede ogni credenza e la rende possibile. Delle minacce alla fede che vengono dalla cultura secolare del nostro tempo si occupa la terza parte del saggio. Ci sono ragioni connesse alla rappresentazione scadente della fede dei secoli passati; essa ha nutrito un irreale conflitto tra fede e ragione. Alla ritrattazione di tale questione è dedicata la seconda parte del saggio; la fede, lungi da contrapporsi alla conoscenza, la genera. Per capire questo occorre però cambiare le nostre immagini di conoscenza. Per capire che cosa sia fede, occorre soprattutto interrogare il testo biblico, leggendolo con gli occhi fissi sulla vita e non sul testo. È quel che viene fatto nella prima parte. Il saggio diventa in tal modo una specie di mappa per la ricognizione di tutti i dubbi che oggi insidiano la fede.
Il volume raccoglie le riflessioni tenute dall'Autore in occasione della visita di papa Benedetto XVI per il VII Incontro Mondiale delle Famiglie a Milano nel giugno 2012. La famiglia è da sempre al centro dell'attenzione e della cura pastorale della Chiesa cattolica. Lo è in particolare nella stagione contemporanea; la causa della famiglia è stata più volte difesa dalla Chiesa, in particolare nei confronti di decisioni politiche e legislative, che parevano penalizzarla e sancirne la progressiva e inesorabile marginalità nella società presente. Tale difesa della famiglia si è prodotta tuttavia a procedere da un assunto di fondo, che appare sempre meno scontato, quello cioè che la natura della famiglia e dei suoi compiti siano subito a tutti evidenti. Urgente diventa dunque produrre una riflessione esplicita sulla famiglia; per rapporto a un tale obiettivo assai illuminante appare la testimonianza della Scrittura. Appunto la congiuntura storica e culturale sollecita una riflessione teologica e biblica sulla famiglia che l'A. svolge limpidamente in quattordici densi capitoletti.
La missione della Chiesa è descritta spesso in termini di testimonianza: la verità, da Gesù sussurrata agli orecchi dei discepoli, dev'essere gridata dai tetti. Secondo la cultura postmoderna parlare di verità è in ogni caso esagerato; se pure di verità si può parlare, il luogo non può essere quello pubblico. In quel luogo sono tollerate solo opinioni personali, e non pretenziose verità. La figura della testimonianza rimanda a una contraddizione tra cultura pubblica e predicazione cristiana, che pare inevitabile. Fin dall'inizio, d'altra parte, il vangelo ha suscitato litigi, e quindi un interminabile processo. Proprio per rapporto a quel processo il cri-stiano è testimone, in senso giudiziale. Il famoso "aggiornamento" mira invece a un rapporto con la nuova cultura, che vuol essere irenico e rimuove ogni conflitto; la parola cristiana perde il profilo di testimonianza, per candidarsi ad essere soltanto un supplemento d'anima per un mondo senz'anima. I contributi qui pubblicati, di taglio biblico, filosofico, di teologia sistematica e di teologia della cultura, sono frutto di un Seminario di studio volto a recuperare una nozione di testimonianza meno slavata.
L'anno B del ciclo triennale del lezionario festivo privilegia il vangelo di Marco, il più breve dei quattro. La brevità del secondo vangelo è da riferire alla scarsità delle parole; gli insegnamenti di Gesù sono riferiti con parsimonia; egli si manifesta soprattutto attraverso i gesti. Si manifesta, ma anche si nasconde; dagli studiosi il vangelo è associato al "segreto messianico": con grande insistenza Gesù raccomanda a coloro che sono spettatori dei suoi gesti sorprendenti di tacere; così anche con i propri discepoli, specie con i tre che portò con sé sul mon-te e che furono testimoni della sua trasfigurazione. Per favorire il segreto - così pare - Gesù mostra una trasparente fretta, che gli impedisce di indulgere al desiderio di tutti di trattenerlo. Fin dalla prima giornata del ministero pubblico, a Cafarnao, emerge una tensione tra Gesù che fugge e la folla che, complici i discepoli, cerca di trattenerlo. Appunto questo è il registro di fondo che segna le stesse omelie proposte per quest'anno; esse sollecitano ad affrettare il cammino verso un altrove, che sempre da capo pare sfuggire.
Da quarant'anni i teologi della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale si cimentano, in stretto confronto reciproco, con le massime questioni poste alla teologia nella rapida e a tratti addirittura convulsa vicenda del Novecento. È parso maturo il tempo per cimentarsi in un'opera collettiva, che tentasse un bilancio. Le premesse in tal senso erano disposte dalla precedente sintesi da essi tentata a proposito dell'epoca moderna (vedi Storia della teologia, IV: Epoca moderna, Casale Monferrato 2001). Ne è risultata un'opera di grande mole, che propone non una sintesi, ma dieci saggi sintetici. I primi cinque sono dedicati ai momenti qualificanti della vicenda teologica fino al Concilio: modernismo, teologia dialettica, teologia del magistero e ressourcement, svolta antropologica, concilio Vaticano II. Gli altri cinque sono dedicati invece alle questioni maggiori intorno alle quali si coagula (e anche si frammenta) il dibattito teologico successivo: il profilo scientifico della teologia, il rapporto con la storia, la forma pratica della fede, la questione ermeneutica, la figura storica del cristianesimo.
Non si tratta di un optional; perfetto è il massimo, ma è anche il minimo: "Siate perfetti, come perfetto è il Padre vostro". Il giovane sa bene che la pratica della legge non basta a tacitare il sentimento inquieto che lo agita e gli suggerisce di interrogare Gesù: "Che cosa mi manca?". La sequela non è un di più rispetto alla legge; è invece la condizione per giungere alla sua comprensione vera e rimediare così alla sua apparente marginalità. Finché appaia soltanto come un recinto, la legge è fraintesa, e non può dare una forma alla vita tutta. Gesù è venuto non per abolire la legge, ma per portarla a compimento, e così scriverla nei cuori. Le omelie qui proposte su Matteo intendono accompagnare quella pratica assidua della sequela del maestro, che sola consente di giungere alla comprensione perfetta della legge e di riconoscere come la sua pratica possa rendere perfetta la vita stessa.
Il libro di Ezechiele è "difficile"; così spesso riconoscono gli esperti, così soprattutto constatano i cristiani che incautamente tentino di cimentarsi con esso. Oltre che difficile da comprendere in molte sue pagine ermetiche,esso appare spesso "freddo" come una pietra. La parola di Dio assume un suono deliberatamente freddo, perché nessuno si illuda; in quella parola non si può cercare una compensazione domenicale all'aridità feriale della vita. Occorre convertire la qualità di tutta la vita, perché la parola di Dio torni a essere un rimedio per il gelo di pietra che la minaccia