Lo sguardo di Domenico Barrilà, da sempre attentissimo all'influenza dei fenomeni sociali sulla psiche, si posa sui nostri "figli digitali", persi negli schermi dei loro cellulari e apparentemente vivi solo attraverso di essi. Vi scopre una generazione fragile, che oggi più che mai ha bisogno di adulti solidi, che non confondano l'"informazione" con l'"educazione". Si tratta di ragazzi che nella rete e nell'ansia di voler essere costantemente "connessi" trasferiscono - magari distorcendolo - il bisogno di "legami" che è proprio dell'uomo da sempre. Barrilà guarda in faccia la rivoluzione digitale e gli effetti da essa prodotti nel delicato recinto che ospita educatori, genitori, bambini e ragazzi, portandoci a ragionare senza isterie e a misurarci con i riflessi dei cambiamenti, positivi e negativi, generati da vecchie e nuove realtà. Alla fine, sperimenteremo la piacevole sensazione di essere tornati in gioco, con le idee più chiare e con qualcosa di concreto da dire e da fare, ma soprattutto con la certezza che niente è più forte del legame educativo, a patto che si abbia voglia di tenerlo in vita. Una lettura su come la tecnologia ha provato a scipparci i nostri figli, riconfigurando i rapporti fra noi e loro. Un contributo per conoscere i punti di forza e di debolezza dell'ospite digitale, che ci aiuta a superare la fase delle recriminazioni per riavvicinare le generazioni.
Un pregiudizio è un errore che si ripete all'infinito, e i ragazzi ne sono le vittime preferite. La psicologia, spesso inconsapevolmente, si è resa complice di questa deriva, contribuendo al loro inscatolamento all'interno di categorie remote, create quando si andava ancora con la carrozza a cavalli e la speranza di vita non superava i cinquant'anni. Basterebbero queste affermazioni per renderci prudenti sulla pretesa di risolvere tutto con un libro: il rischio di rimanere delusi è dietro l'angolo, perché troppi cancelli, pesanti, si sono chiusi nel frattempo intorno ai ragazzi. Occorre fare di più, per evitare questo rischio. Ricordare, innanzitutto, che i ragazzi non sono una categoria sociale ma individui, quindi se smettiamo di identificarli con il "voi", pensandoli come gruppo indistinto, e passiamo al "tu", facendone delle persone, siamo sulla buona strada. Possiamo, o forse dobbiamo, rifare il percorso cancellando tutti i cartelli indicatori che ci portano fuori strada e piantandone di nuovi. Non è difficile: basta capire dove volgere lo sguardo, e così si potranno fare scoperte sorprendenti e finalmente incontrare i nostri figli per quello che sono davvero e non per quello che ci siamo messi in mente da prima che nascessero. Un libro per sfuggire al pregiudizio che deforma gli sguardi di noi adulti e trasforma i nostri figli in oggetti misteriosi, spesso in estranei.
Un pregiudizio è un errore che si ripete all'infinito, e i ragazzi ne sono le vittime preferite. La psicologia, spesso inconsapevolmente, si è resa complice di questa deriva, contribuendo al loro inscatolamento all'interno di categorie remote, create quando si andava ancora con la carrozza a cavalli e la speranza di vita non superava i cinquant'anni. Basterebbero queste affermazioni per renderci prudenti sulla pretesa di risolvere tutto con un libro: il rischio di rimanere delusi è dietro l'angolo, perché troppi cancelli, pesanti, si sono chiusi nel frattempo intorno ai ragazzi. Occorre fare di più, per evitare questo rischio. Ricordare, innanzitutto, che i ragazzi non sono una categoria sociale ma individui, quindi se smettiamo di identificarli con il "voi", pensandoli come gruppo indistinto, e passiamo al "tu", facendone delle persone, siamo sulla buona strada. Possiamo, o forse dobbiamo, rifare il percorso cancellando tutti i cartelli indicatori che ci portano fuori strada e piantandone di nuovi. Non è difficile: basta capire dove volgere lo sguardo, e così si potranno fare scoperte sorprendenti e finalmente incontrare i nostri figli per quello che sono davvero e non per quello che ci siamo messi in mente da prima che nascessero. Un libro per sfuggire al pregiudizio che deforma gli sguardi di noi adulti e trasforma i nostri figli in oggetti misteriosi, spesso in estranei.
Contare qualcosa per qualcuno. Un programma per la vita, apparentemente elementare, il cui perseguimento determina la qualità delle nostre giornate, eppure spesso così difficile da trasformare in una reale risorsa per sé e per gli altri. Vi sono delle precise ragioni che sostengono delusioni, tradimenti, sofferenze, fallimenti emotivi ed esistenziali. Le stesse che sovente ci impediscono di raggiungere una vita affettiva e sentimentale gratificante. Nulla accade per caso in questo delicato dominio. L'autore mette a nudo i meccanismi che stanno alla base della nostra capacità di costruire relazioni stabili, vitali e non distruttive, a partire dalle impressioni acquisite nel corso dell'infanzia, quando prendono corpo le linee fondamentali dello stile di vita. Da lì, mostra il dipanarsi del filo rosso che intesse la storia delle nostre relazioni, aiutandoci a riconoscere i nodi che ne bloccano la carica vitale.
L'autore compie un viaggio nell'universo interiore dei bambini cercando di comprendere le ragioni di tanti comportamenti a prima vista inspiegabili. Perché, ad esempio, rifiutano regole comuni o usano strani espedienti per raggiungere i loro scopi? Perché sembrano timidi o arroganti? Il libro analizza il pianeta bambini sollecitando quella voglia di ragionare spesso accantonata dagli adulti per lasciare spazio a risposte preconfezionate e fuorvianti. Se è vero, infatti, che c'è una logica nei bambini, resta necessario e fondamentale individuarla caso per caso.
Un viaggio senza pause alle origini dello stile di vita, in cui l'infanzia è solo un pretesto per raccontare come nasce la personalità, perché sistemiamo in un certo modo i mattoni del nostro edificio interiore e attraverso quali vie diventiamo ciò che siamo. L'approccio è innovativo e spiazzante, figlio di una psicologia del profondo ottimistica, lontana da oscure elucubrazioni e da autocompiacimenti, che pesca nella rivoluzione operata dal grande dissidente della psicoanalisi, Alfred Adler. Un modo diverso per parlare di noi, che ci rende familiare il nostro mondo interiore, svelando la straordinaria logica che lo presiede.
Contare qualcosa per qualcuno: un elementare programma per la vita, il cui perseguimento determina la qualità delle nostre giornate. L'affettività è la risorsa principale di ciascuno, poiché una persona senza legami o con legami logori, si indebolisce, trasformandosi in una tossina per sé e per il gruppo sociale cui appartiene. L'autore mette a nudo i meccanismi che stanno alla base della nostra capacità di costruire relazioni stabili, vitali e non distruttive. Ci porta a riconoscere e a correggere le impronte negative che la nostra storia personale lascia sulle relazioni e viceversa. Identifica ciò che, del nostro mondo interiore, minaccia le nostre relazioni e suggerisce come intervenire su di esse aprendosi al cambiamento dei propri schemi ricorsivi. Chiarisce il ruolo dell'interazione tra la volontà di potenza e il sentimento sociale insito in ciascuno di noi: se queste due istanze fondamentali non trovano un equilibrio, ogni relazione è destinata al fallimento, creando turbolenze rovinose nella vita di chi ci è vicino. Tra essi, i figli soprattutto, che, pur non partecipando al deterioramento delle relazioni ma subendolo, portano con sé, e nei loro futuri legami, i condizionamenti dell'esperienza negativa dell'affettività. Infine, l'autore riconosce nella debolezza della sfera relazionale la spia della deriva sociale in atto, ma anche il punto di partenza per ridare slancio non solo all'individuo, ma anche alla collettività.