Non c'è lingua e non c'è epoca in cui non si sia giocato con le parole: troviamo giochi di parole nei testi più solenni di religioni, letterature, filosofie. Sono una dimensione comune a tutti: dagli analfabeti ai premi Nobel. Ed è proprio dalla classicità e dal folklore che la cultura di massa ha ripescato le più curiose ed enigmatiche combinazioni linguistiche per adattarle alla contemporaneità. Dall'enigmistica alla pubblicità, dalla satira ai tweet, la lingua mette in gioco le parole in modo che ci avvincano ancora prima che convincerci. In queste pagine Stefano Bartezzaghi, finissimo e spericolato funambolo del linguaggio, ci spiega la natura di queste scintille dell'intelligenza e ci invita ad appropriarcene.
Presente da quasi un secolo su tutti i giornali del mondo, assente da qualsiasi storia del giornalismo, del costume, della lingua, il cruciverba è l'inavvertito elefante che siede nel salotto della comunicazione del Novecento. Molti lo ritengono più antico di quello che è: eppure non poteva che nascere nella New York degli anni Dieci, contemporaneamente a tutto ciò che ha costituito l'orizzonte del moderno, dalla catena di montaggio al cubismo, dal giornalismo dei reportage alla musica jazz. Vuoto, il cruciverba è una griglia ortogonale di caselle; pieno, è un caleidoscopio alfabetico in cui si frammentano e si ricompongono le parole della lingua e i nomi del mondo, dando la possibilità ai lettori di verificare le proprie conoscenze in una sfida con se stessi, circoscritta a una percorrenza in metropolitana o a una sosta in poltrona durante il weekend. La storia del cruciverba è un romanzo. I suoi personaggi sono tutti straordinariamente eccentrici (e apparentemente tutti "normali"), i suoi dialoghi collegano definizioni indiziarie e soluzioni congetturali, la sua ambientazione è la metropoli, con i suoi giornali, i suoi grattacieli, i suoi mezzi di trasporto.
È difficile immaginare di leggere questo libro senza una matita e un taccuino a portata di mano. Perché il gioco linguistico, come la risata, è contagioso. E ciascuno potrà aggiungervi il proprio. Se Il fagiano Jonathan Livingstone (nel gioco sui titoli dei libri «meno ambiziosi») vi pare offensivo, che dire di Un'email di Jacopo Ortis, o del Bulgakov degradato a Il supplente e Margherita? Se invece amate il cinema si può cominciare col Fellini dimezzato di Quattro piú. Su Twitter è anche nata una variante mescolando il titolo di diversi film, come nel capolavoro mai girato Tre metri sopra il cielo sopra Berlino o nell'ambiguo Un borghese piccolo piccolo grande uomo. Se si aggiunge una definizione si può rischiare con «Ti boccia già all'appello: Fotte prima degli esami». E per i piú esperti, si continua con i tautogrammi, i falsi prefissi, i palindromi, gli acrostici, i falsi derivati, le parodie. Il mondo si deforma, perde per un attimo la sua identità, e di fronte a noi se ne spalanca uno parallelo, un po' sghembo, assurdo, sorprendente, che prende forma nel nostro taccuino.