Che cos'è il male oggi? In che modo si può dire che le sue manifestazioni, le sue spinte, le sue modalità di aggredire il tessuto del mondo e delle persone che lo abitano si siano modificate? Zygmunt Bauman, uno dei più grandi pensatori viventi, già nel 1989, con "Modernità e olocausto", aveva riletto le atrocità del Terzo Reich sovvertendo l'opinione comune che si fosse trattato di un "incidente" della Storia e dimostrando che invece la "società dei giardinieri" illuministi (bene attenti a estirpare le "erbacce") aveva raggiunto con l'olocausto il suo risultato più esemplare. In questo libro Bauman compie un ulteriore decisivo passo avanti nell'identificazione del "male" ai giorni nostri. E lo fa con una ricognizione delle tesi fallaci che si erano affermate nel Novecento (dalla "personalità autoritaria" di Adorno alla "banalità del male" di Hannah Arendt) per mostrare poi, in un corpo a corpo con le opere di Jonathan Littell e di Günther Anders, che la presa di distanza dagli esiti dei nostri atti distruttivi (resa non solo possibile, ma obbligata, dalle mirabilia tecnologiche e dalla costrizione "diversamente morale" a non sprecare armi la cui produzione ha richiesto quantità esorbitanti di denaro) contribuisce a erodere la nostra sensibilità già gravemente indebolita, malcerta, afona.
Qual è il ruolo dell'educazione in un tempo che ha smarrito una chiara visione del futuro e in cui l'idea di un modello unico e condiviso di umanità sembra essere il residuo di un'era ormai conclusa? Quale ruolo dovrebbero rivestire gli educatori ora che i giovani vivono una profonda incertezza rispetto al loro futuro, i progetti sono diventati più difficili, le norme tradizionali sono meno autorevoli e flussi sempre più cospicui di persone hanno creato comunità variegate in cui diverse culture si ritrovano a vivere vicine senza più essere unite dalla convinzione che l'altro verrà prima o poi assimilato alla "nostra" cultura? Posti di fronte alle sconcertanti caratteristiche del nostro mondo liquido moderno, molti giovani tendono a ritirarsi - in alcuni casi nella rete, in giochi e relazioni virtuali, in altri casi nell'anoressia, nella depressione, nell'abuso di alcol o droghe - nella speranza di proteggersi così da un universo oscuro e vorticoso, altri si lanciano in forme di comportamento più violento. In questo breve libro Zygmunt Bauman, qui in conversazione con Riccardo Mazzeo, riflette sulla situazione dei giovani d'oggi e sul ruolo dell'educazione e degli educatori.
La sua dote più preziosa di Bauman è quella di riuscire a penetrare la scorza del mondo sociale, che appare nella sua naturale ovvietà, per mostrarci significati difficili da cogliere proprio perché così quotidiani e evidenti. Nella società dei consumi della modernità liquida, lo sciame tende a sostituire il gruppo. Lo sciame non ha leader né gerarchie perché il consumo è un'attività solitaria, anche quando avviene in compagnia. La società dei consumatori aspira alla gratificazione dei desideri più di qualsiasi altra società del passato ma, paradossalmente, tale gratificazione deve rimanere una promessa e i bisogni non devono aver fine, perché la piena soddisfazione sfocerebbe nella stagnazione economica. Il contraltare dell'homo consumens è l'homo sacer, il povero che, per carenza di risorse, è stato estromesso dal gioco in quanto consumatore difettoso o "avariato". La miseria degli esclusi non è più considerata un'ingiustizia da sanare, ma il risultato di una colpa individuale: così, le prigioni si sostituiscono alle istituzioni del welfare. Il contributo che Bauman offre con questa analisi critica è quello di riproporre il tema dell'agire morale: un agire intrinsecamente libero, e quindi sempre a rischio di venir meno, ma che pure costituisce una caratteristica originaria dell'essere umano, alla base della sua socialità e, in ultima istanza, della sua sopravvivenza come specie.