"'Col tanfo di caseificio, col chiasso degli zoccoli io sono, ingiustificatamente, la polvere delle ossa dei miei indebitati vicini...' Composto verso il 1960, pubblicato nel 1981, e definito dallo stesso Thomas Bernhard come un testo di assoluta pregnanza all'interno della sua produzione narrativa, 'Ave Virgilio' rappresenta l'esito di due tendenze stilistiche apparentemente contraddittorie. Riflessione teorica e concrezione corporea, teologia negativa e ossessione materica, proiezione simbolica e décor regionalistico convergono nella stesura di un manufatto nero ed oracolare. Infatti, benché il libro rechi le tracce di due soggiorni all'estero (Gran Bretagna e Italia), il suo vero cuore sta nel lacerante sentimento di attrazione e odio che l'autore nutre verso la propria terra: 'Il mio sapere ce l'ho dai solchi nei campi di patate, dall'oscurità del porcile ho appreso cielo e terra, nel rotolio dei mucchi di mele ottobrine ho il mio salmo incessante...' Osti, parroci, sindaci, mastri birrai, arcivescovi, scrivani comunali, contadini e sposi, figure dell'autorità o del martirio (il Padre contro il Figlio) insieme a baluginanti santi intercessori quali Catullo, Dante, Pascal, o Virgilio, compongono il quadro di un inferno bucolico fatto di sangue, cunei nella carne, mattatoi. Lo si vede ad esempio nell'allucinato 'Canto del figlio del macellaio'." (Valerio Magrelli)
In un sonnolento villaggio austriaco, un solitario studioso di scienze naturali decide di confessare la propria «infermità psicoaffettiva» e di «rovesciar fuori» la parte interiore di sé. Con questa intenzione si reca a casa dell’amico Moritz, un agente immobiliare abituato, per lavoro, al contatto quotidiano con gli altri. Nel vivo delle confidenze compare una coppia di clienti: lui è un costruttore svizzero, lei è persiana. Fin dal primo istante la donna affascina l’intellettuale, che scopre in lei una degna compagna di passeggiate, conversazioni e disquisizioni filosofiche.
A poco a poco attraverso la narrazione del loro incontro affiora un mondo di solitudini in cui l’atto esistenziale di maggior senso è quello della confessione. Non sempre, però, l’autosvelamento produce un beneficio. Lo scienziato ne trae vantaggio: l’incontro con la donna lo rende di nuovo «avido di vita» e lo allontana dall’idea accarezzata del suicidio. Alla persiana, invece, non accade la stessa cosa. In fondo al suo tentativo di confessarsi, infatti, c’è ben altra e più profonda solitudine, il cui senso è racchiuso nel suo estremo, definitivo sì.