IIl volume raccoglie le riflessioni proposte dal Cardinale Biffi in occasione della festa del Primo Maggio. Sono la sintesi del suo pensiero sulla dottrina sociale della Chiesa. Biffi mette in luce da un lato che il lavoro è un modo con il quale l'uomo realizza la sua personalità, le sue idee, le sue passioni - per questo ci si impegna con intelligenza e fierezza - e dall'altro lato che sta diventando sempre più estesa e determinante l'incidenza «di un potere finanziario chiuso nei suoi giochi, senza veri legami con l'impegno produttivo e con il mondo del lavoro». Siamo come preda di «un capitalismo anonimo senza agganci e senza relazioni personali». Talvolta la proprietà è «irreperibile, nascosta dal gioco allucinante e senza fine delle società che si appartengono reciprocamente, [...] ragiona solo in termini di profitti, di rendimento, di competitività e sembra non vedere che - di là da questi fattori pur legittimi, e oltre i complicati meccanismi della moderna attività industriale - sono coinvolte le persone, le famiglie, la loro possibilità di sopravvivere e di guardare senza inquietudine all'avvenire». Ecco alcuni stralci che rivelano l'attualità di questo insegnamento. Prefazione del Card. Matteo Maria Zuppi. Presentazione e Curatela di Eros Stivani.
Il volume raccoglie tre scritti inediti del cardinal Giacomo Biffi. In "Sguardi su Gesù Cristo" Biffi pone una domanda ineludibile: Gesù è "uno dei..." o "il"? È catalogabile o è un caso a sé? La sua comparsa nel mondo è un fatto importante, ma commisurabile coi nostri metri di giudizio, o è un evento unico e decisivo, irripetibile? In "Lettura cristiana del Libro di Giona" l'autore mette in luce l'aspetto più originale di Giona: svelare un Dio umorista. Poi, per Gesù stesso Giona - che annuncia la volontà che tutti siano salvi, che predica la conversione, che presagisce la vittoria sulla morte - compendia tutte le ragioni della nostra speranza. Ne "L'ultima settimana di Gesù" Biffi rileva le numerose difficoltà che emergono dai racconti evangelici. E arriva alla conclusione che Gesù e gli apostoli hanno mangiato la Pasqua seguendo un calendario diverso da quello ufficiale, non il giovedì, ma il martedì sera secondo il calendario di Qumran. Prefazione di Giorgio Maria Carbone.
Attraverso 15 brevi e appassionanti capitoletti il cardinale Biffi propone una sintesi del contenuto della fede cristiana, dando così un contributo molto agile all’Anno della fede.
«C’è chi pensa che aver fede sia qualcosa di fortuito e, tutto sommato, di irrilevante (press’a poco come aver i capelli rossi o gli occhi grigi). Qualcuno è dell’avviso che il credere sia magari anche una fortuna, ma una fortuna del tutto casuale (come far soldi al “gratta e vinci”). I più comunque ritengono sia qualcosa di marginale nell’esistenza dell’uomo.
Gesù che è il solo maestro che non delude non è di questo parere. Egli mette in relazione la fede con la salvezza: per lui è dunque qualcosa di sostanziale, qualcosa di necessario se non si vuole che la nostra avventura umana finisca in un fallimento.
Non si può dunque parlare di fede, se insieme non si parla del fatto che abbiamo tutti bisogno di essere salvati. Da che cosa? Dall’insignificanza nostra e dell’universo, dall’indegnità morale, e dalla prospettiva che la morte coincida con il nostro annientamento. La fede ci salva da tutti questi guai.
La fede non è primariamente un prodotto della mente, del cuore, della sensibilità dell’uomo, quasi che possa decidere l’uomo come mettersi in rapporto con la Divinità. Ma piuttosto è la nostra risposta alla provocazione benefica di Dio.
È un aprirci al discorso appassionato del Padre che risuona sempre nell’annuncio evangelico, è fare spazio al Signore che viene a liberarci, è un arrenderci al fuoco trasformante del suo Spirito.
Ed è un atto che coinvolge tutto l’uomo: la sua intelligenza, perché è uno sguardo sulla verità integrale; la sua volontà, perché l’uomo decide di credere liberamente; il suo amore, che è chiamato a superare il nativo egoismo».
"Guai a me se non predicassi il Vangelo! (1 Cor 9,16), è un ammonimento dell'apostolo Paolo che ha sempre accompagnato il mio ministero apostolico della predicazione. Anzi si è fatto più intenso e pungente, a mano a mano che alla mia riflessione si chiariva come dato primario per la comprensione di questo ordine di provvidenza la sorprendente misericordia di Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1 Tm 2,4). Proclamare la realtà di questo amore trascendente è stato il senso e lo scopo della mia esistenza e quindi anche della mia predicazione. In questo volume raccolgo le omelie che ho proposto nel corso del tempo ordinario dell'Anno liturgico. Sono il segno non appariscente, ma di grande rilievo apostolico del mio ministero. L'obiettivo costante è quello di annunciare un messaggio di gioia, perché evangelizzare significa primariamente annunciare la gioia di Gesù Cristo. Questo è un nucleo irrinunciabile: un Vangelo che si comunichi nella tristezza o porti alla tristezza è un perfetto controsenso. È una gioia che essenzialmente nasce dalla comunione con una salvezza avvenuta: imbattermi nel Vangelo significa che la mia salvezza c'è già, ed è già mia se solo accetto di arrendermi ad essa. È una gioia che ricava la sua sostanziale consistenza da un avvenimento, dalla concretezza di una persona: la persona di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, crocifisso, risorto, oggi vivo, unico Salvatore e Signore." (dalla Prefazione)
"Guai a me se non predicassi il Vangelo! (1 Cor 9,16), è un ammonimento dell'apostolo Paolo che ha sempre accompagnato il mio ministero apostolico della predicazione. Anzi si è fatto più intenso e pungente, a mano a mano che alla mia riflessione si chiariva come dato primario per la comprensione di questo ordine di provvidenza la sorprendente misericordia di Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1 Tm 2,4). Proclamare la realtà di questo amore trascendente è stato il senso e lo scopo della mia esistenza e quindi anche della mia predicazione. In questo volume raccolgo le omelie che ho proposto nel corso del tempo ordinario dell'Anno liturgico. Sono il segno non appariscente, ma di grande rilievo apostolico del mio ministero. L'obiettivo costante è quello di annunciare un messaggio di gioia, perché evangelizzare significa primariamente annunciare la gioia di Gesù Cristo. Questo è un nucleo irrinunciabile: un Vangelo che si comunichi nella tristezza o porti alla tristezza è un perfetto controsenso. È una gioia che essenzialmente nasce dalla comunione con una salvezza avvenuta: imbattermi nel Vangelo significa che la mia salvezza c'è già, ed è già mia se solo accetto di arrendermi ad essa. È una gioia che ricava la sua sostanziale consistenza da un avvenimento, dalla concretezza di una persona: la persona di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, crocifisso, risorto, oggi vivo, unico Salvatore e Signore." (dalla Prefazione)
"Guai a me se non predicassi il Vangelo! (1 Cor 9,16), è un ammonimento dell'apostolo Paolo che ha sempre accompagnato il mio ministero apostolico della predicazione. Anzi si è fatto più intenso e pungente, a mano a mano che alla mia riflessione si chiariva come dato primario per la comprensione di questo ordine di provvidenza la sorprendente misericordia di Dio, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1 Tm 2,4). Proclamare la realtà di questo amore trascendente è stato il senso e lo scopo della mia esistenza e quindi anche della mia predicazione. In questo volume raccolgo le omelie che ho proposto nel corso del tempo ordinario dell'Anno liturgico. Sono il segno non appariscente, ma di grande rilievo apostolico del mio ministero. L'obiettivo costante è quello di annunciare un messaggio di gioia, perché evangelizzare significa primariamente annunciare la gioia di Gesù Cristo. Questo è un nucleo irrinunciabile: un Vangelo che si comunichi nella tristezza o porti alla tristezza è un perfetto controsenso. È una gioia che essenzialmente nasce dalla comunione con una salvezza avvenuta: imbattermi nel Vangelo significa che la mia salvezza c'è già, ed è già mia se solo accetto di arrendermi ad essa. È una gioia che ricava la sua sostanziale consistenza da un avvenimento, dalla concretezza di una persona: la persona di Gesù di Nazaret, Figlio di Dio, crocifisso, risorto, oggi vivo, unico Salvatore e Signore." (dalla Prefazione)
Il discorso della fede in Cristo è un discorso breve. Discorso breve perché Cristo è il discorso breve o abbreviato di Dio. Tutto è detto in Cristo e dunque Cristo è il centro di questa dizione divina. Il cristocentrismo ha una statura cosmica perché mostra come tutte le cose siano centrate in Cristo e siano permeate da lui. In queste pagine il cardinale Giacomo Biffi offre una sintesi relativa appunto alla tesi del cristocentrismo cosmico ed insieme una presentazione rapida, organica e, per quanto è consentito, integrale della verità rivelata. Non è catechismo. Lo scopo di questa esposizione è quello di offrire ai credenti e ai non credenti un mezzo idoneo per conoscere con esattezza che cosa creda la Chiesa. Non esclude perciò la mediazione catechistica: la precede e la postula. Anche le formule di domanda-risposta sono introdotte all'unico fine di porre alcune affermazioni in particolare rilievo. Questo lavoro suppone di essere accessibile agli uomini che siano disposti a fare un po' di fatica per imparare. Ma ne vale la pena, perché la verità è intrinsecamente salvifica e liberante.
Attraverso quindici capitoletti il cardinale Biffi propone una sintesi del contenuto della fede cristiana, dando così un contributo molto agile all'Anno della fede. "C'è chi pensa che aver fede sia qualcosa di fortuito e, tutto sommato, di irrilevante (press'a poco come aver i capelli rossi o gli occhi grigi). Qualcuno è dell'avviso che il credere sia magari anche una fortuna, ma una fortuna del tutto casuale (come far soldi al "gratta e vinci"). I più comunque ritengono sia qualcosa di marginale nell'esistenza dell'uomo. Gesù che è il solo maestro che non delude non è di questo parere. Egli mette in relazione la fede con la salvezza: per lui è dunque qualcosa di sostanziale, qualcosa di necessario se non si vuole che la nostra avventura umana finisca in un fallimento. Non si può dunque parlare di fede, se insieme non si parla del fatto che abbiamo tutti bisogno di essere salvati. Da che cosa? Dall'insignificanza nostra e dell'universo, dall'indegnità morale, e dalla prospettiva che la morte coincida con il nostro annientamento. La fede ci salva da tutti questi guai.
"Vi dò una notizia un po' riservata. Vi rivelo un segreto; ma, mi raccomando, resti tra noi. La notizia è questa: grande è la fortuna di noi credenti. Grande è la fortuna di chi è "cristiano"; cioè appartiene, sa di appartenere, vuole appartenere a Cristo. Però non andate a dirlo agli altri: non capirebbero. E potrebbero anche aversela a male: potrebbero magari scambiare per presunzione il nostro buon umore per la felice consapevolezza di quello che siamo; potrebbero addirittura giudicare arroganza la nostra riconoscenza verso Dio Padre che ci ha colmati di regali. C'è perfino il rischio di essere giudicati intolleranti: intolleranti solo perché non ci riesce di omologarci disciplinatamente e possibilmente con cuore contrito alla cultura imperante; intolleranti solo perché non ci riesce di smarrirci, come sarebbe "politicamente corretto", nella generale confusione delle idee e dei comportamenti. Un'altra grande fortuna di coloro che sono "di Cristo" è quella di essere liberi. Ecco quanto Cristo ci ha promesso: "Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8, 31-32). Il principio di questa prerogativa inalienabile del cristiano è la presenza in noi dello Spirito Santo: "Dove c'è lo Spirito del Signore, c'è la libertà" (2 Cor 3, 17); quello Spirito che, secondo la parola di Gesù, ci guida alla verità tutta intera (cf. Gv 16, 13), perché ci chiarifica "le cose come stanno".
La figura di Clelia Barbieri nel contesto storico del Risorgimento e dell'Unificazione dell'Italia. Con la raccolta di alcune omelie che il card. Biffi ha tenuto in occasione della festa della santa, che ricorre il 13 luglio.
Veni creator Spiritus. Con queste parole dell’«inno sublime» Benedetto Croce esortò l’Assemblea Costituente dell’Italia del 1947 a implorare l’azione dello Spirito Santo sul proprio lavoro. Era una proposta inattesa, perché proveniva da un laico. Ma era anche una proposta illuminata e felice, poiché il tema dello spirito ha esercitato un grande fascino su diversi pensatori europei.
Nel fatto cristiano, però, lo Spirito non è solo un’idea. È una Persona divina. È l’attore della divinizzazione dell’uomo. È principio motore di una storia nuova e più vera dell’universo, toccato dalla misericordia del suo Creatore. Per salvarsi dalla brevità della vita, dalla colpa, dalla morte, la «filosofia dello spirito» non serve. Occorre piuttosto lasciarsi inondare dallo Spirito di verità, che è lo Spirito di Cristo: perché solo quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio (Rm 8,14).
Per volontà di Dio lo Spirito continua, ancora oggi, a essere inviato tra i suoi discepoli. Nel suo disegno, la Pentecoste è perenne e continua nella storia. Solo così lo Spirito compie la sola vera rivoluzione, sempre urgente e sempre in atto, capace di rigenerare ogni giorno la vicenda umana: la rivoluzione cristiana, il cammino di santità di ogni donna e di ogni uomo.
Il noccio di tutta la fede cristiana è l'avvenimento della risurrezione di Gesù Cristo. L'importanza, l'originalità, l'unicità di Gesù di Nazaret sta nel fatto che egli è attualmente esistente, corporalmente vivo, instancabilmente attivo fra di noi.