Una città nata da due omicidi non avrebbe potuto non avere impressi nel proprio DNA caratteri di violenza. E infatti così è stato. La tragica fine di Tiberio e Gaio Gracco non sarebbe avvenuta se Roma non avesse privato i piccoli agricoltori delle loro terre per farne soldati alla conquista dell'Italia intera. Quelle campagne divennero preda dei latifondisti, mentre gli antichi proprietari, dopo la vittoria, furono trasformati in disoccupati o nullafacenti cronici. Fu la "rivoluzione" dei Gracchi a opporsi a questo arbitrio. Se si fosse realizzata, Roma non sarebbe stata invasa da migliaia di sottoproletari affamati, e non avrebbe conosciuto una lunga epoca di guerre civili. I fratelli Gracchi sarebbero stati gli eroi di un mondo diverso.
Furono anni insanguinati. Tormentati da intrighi e scontri di potere. Il primo a cadere fu Tiberio Gracco, giovanissimo leader del movimento democratico, linciato nel 133 a.C. Non ebbe miglior sorte l'aristocratico Scipione Emiliano, che venne trovato morto nel suo letto. Né riuscì a salvarsi Gaio Gracco. Autore di riforme ben più audaci di quelle del fratello Tiberio. E via di questo passo, tra conflitti, guerre civili e assassinii. Senza tregua né pietà. Fino alle morti celeberrime di Cesare, di Cicerone e di Antonio, che si tolse la vita dopo la sconfitta di Azio, seguito dalla sua sposa Cleopatra. Unico dominatore della scena politica Ottaviano, proclamato Augusto. Solo allora quel massacro durato un secolo poté considerarsi concluso.