Il filosofo Enrico Castelli ha combattuto per tutta la sua vita una battaglia in nome di un pensiero religioso, teologico, che gli ha permesso di aprirsi alle più diverse e innovative correnti della cultura a lui contemporanea, dalla linguistica alla psicoanalisi, dalla cibernetica alla teoria dell'informazione. Già nel 1945, Castelli, iniziando a raccogliere immagini e appunti su temi legati all'arte sacra, al bene e al male, alla Grazia, annotava che "il discorrere della filosofia ha dei punti di contatto con l'arte di Bosch, perché permette di mostrare facendo sentire". Questo libro risponde all'interrogativo tutto filosofico sul bene e il male, sui loro limiti e le loro potenzialità, attraverso l'esame dell'arte sacra tra il XIV e il XVII secolo e commentandone le varie rappresentazioni del demoniaco in modo da mostrare come alcuni artisti siano stati, in un certo senso, dei veri e propri teologi.
Nell'era dell'effetto Dunning-Kruger, quella distorsione per cui chi meno sa più crede di sapere, è bello scoprire che invece ci sono stati casi - e tanti - in cui sapere, ricordare ha fatto letteralmente la differenza tra vivere o morire, tra fortuna e miseria, tra resistenza e disperazione. E non il conoscere pratiche estreme di sopravvivenza, ma il fatto di riportare alla mente il brano di un grande classico imparato a memoria ai tempi della scuola, di sapere dove posare le dita davanti a uno strumento musicale, di riuscire a interpretare un dipinto o una scultura, di comprendere un'opera teatrale. Il fatto di avere un piccolo ma solido bagaglio di cultura. Sì, cultura. Enrico Castelli tutti i giorni deve trovare il modo per convincere i suoi ragazzi che sapere serve. E quando loro sbuffano alla richiesta di imparare qualche verso di Dante a memoria, racconta loro la storia di un uomo che grazie a quelle terzine è sopravvissuto al campo di concentramento.