Non "che cosa" è ciascuno, ma "chi" è: si potrebbe sintetizzare così la categoria di "unicità" elaborata da Hannah Arendt. In una prospettiva femminista, Cavarero utilizza l'unicità per polemizzare contro due posizioni della filosofia contemporanea. Ogni essere umano, nella sua unicità, desidera ricevere da un altro il racconto della propria storia. Solo gli altri possono scorgere il disegno di un'identità nel corso della sua esistenza e raccontarla in presa diretta, in sua presenza. Contro le astrusità e i luoghi comuni della filosofia, Cavarero convoca Hannah Arendt, Karen Blixen, Edipo, Borges, Ulisse, Rilke, Euridice, Sheherazade per illuminare i racconti con cui ci desideriamo reciprocamente e che ci donano un ritratto in cui riconoscerci.
Gli attentati suicidi, le stragi di civili, i massacri delle guerre contemporanee: la violenza potenziata che rinnova il nostro raccapriccio quasi quotidianamente è violenza sugli inermi. Il femminile ha fatto irruzione anche sulla scena contemporanea. Donne, talvolta madri, si contano ormai tra le attentatrici suicide come tra le aguzzine di Abu Ghraib e la loro entrata in scena aumenta la ripugnanza e l'effetto si moltiplica. Quasi che l'orrore, come già sapeva il mito, avesse bisogno del femminile per rivelare la sua autentica radice. Parte da qui la riflessione di Adriana Cavarero, una riflessione in cui filosofia, cronaca, letteratura e mito si intrecciano per dare forma e contenuto a una vera e propria fenomenologia della violenza contemporanea.
La voce non inganna. Le sue inflessioni, il suo timbro, perfino le sue pause e i suoi silenzi ci parlano del suo possessore, e ci permettono di riconoscerlo e conoscerne le intenzioni, cioè di riconoscere il senso di un discorso là dove la parola scritta deve arrestarsi al solo significato. A partire da qui è possibile rileggere la storia della voce come rovescio dei grandi temi che hanno attraversato la filosofia fin dalle sue origini.