Una famiglia borghese nella Milano anni Sessanta, una bella coppia, due bambine, attorno l'Italia lieta del boom economico. Sembra che non manchi niente, e che tutto debba andare bene, ma lentamente le ombre si addensano in casa Brot, si approfondiscono, come crepe che si allargano in vecchi muri. L'amore silenziosamente si svuota, si alzano le voci nei primi litigi, si allargano i silenzi. Le due figlie però crescono in apparenza perfette, come la loro madre, di cui tutti ammirano l'eleganza e la bellezza, e che entrambe adorano. La tempesta inizia in un giorno come gli altri, da un particolare da niente: il leggero zoppicare della sorella maggiore, colto dalla madre, affacciata alla finestra. La tempesta sulla famiglia Brot è feroce, e si consuma in pochi mesi. Poi si allontana, lasciandosi dietro le sue rovine di solitudine e alienazione. La casa nel cuore di Milano è come un'isola nell'oceano: nessuno attorno pare accorgersi di nulla. Una storia intensa e dolorosa, quella raccontata da Marina Corradi, che anticipa le vicende di molte altre famiglie di oggi, travagliate o spezzate. Ma che testimonia come, dentro a una dura battaglia con la malattia e la solitudine, si possa ritornare a sperare.
«Quando le proposi per la prima volta di spendersi in un genere letterario (apparentemente) nuovo per lei, quando cioè la sfidai ad affacciarsi per tre mesi (gennaio, febbraio e marzo 2013) dalla speciale “finestra” che apriamo ogni giorno sulla prima pagina di Avvenire – il giornale che l’ha scelta, e che lei ha scelto –, Marina provò a eccepire, accennò a resistere, ma poi accettò. La rubrica, mi disse, sarebbe stata In viaggio. Venne poi un anno di quotidianità raccontata, settimana dopo settimana. Perché è sempre In un giorno come gli altri che si può essere accompagnati “ad ascoltare, per una volta, anche sé stessi”. Poi, a ritmare in modo diverso quell’ascolto, ecco di nuovo la “finestra” aperta sulla nostra prima pagina per ancora tre mesi (luglio, agosto e settembre 2015). E l’audacia di usarla, stavolta, per farci entrare nella dimensione intima e immensa di una casa di montagna e dello sguardo dei piccoli: Con occhi di bambina». Questo libro, che raccoglie i settantotto racconti della fortunata rubrica, «è la dimostrazione che accade sul serio: possiamo ritrovare occhi bambini. Quando succede è molto spesso per il dono con cui qualcuno, come Marina Corradi, li riaccende per noi con un “raro rombo di motore”, “in un crepitìo di scintille”, tra “ragnatele come oro” e in un baluginante “saluto del mezzogiorno, candido e segreto”. Un libro così bello è la felice prova che ogni stagione che ci è data è molto di più della somma dei suoi diversi momenti. Eppure ognuno di essi resta e vale».
Dalla Prefazione di Marco Tarquinio
L'estate nelle Dolomiti negli occhi di una bambina. La raccolta del fieno, i falò della notte dell'Assunta, la memoria dei valligiani; l'alba rosa che si alza ogni mattina sulle montagne, e sembra un miracolo. Mentre le vecchie ampezzane con le vesti lunghe e nere e la falce in mano evocano un'oscurità che una bambina ancora non può conoscere, ma percepisce - come se passasse un'ombra. Cronaca di un'infanzia davanti alle Tofane, come registrata e fedelmente trascritta.
Dopo "Prima che venga notte", ecco la seconda raccolta di articoli della rubrica di "Tempi". Cronache della quotidianità, dell'inosservato avvicendarsi delle stagioni; con uno sguardo quasi contemplativo. Teso a riconoscere nella realtà, oltre alla materialità misurabile delle cose unica verità ammessa dal nostro tempo - le tracce, i segni in filigrana, che rimandano ad altro.
Queste lettere nascono come lettere vere, e-mail mandate da una giornalista a un amico per raccontare ciò che, scritto il “pezzo” quotidiano, rimaneva nella penna. L’amico era Luigi Amicone, direttore di “Tempi”, e un giorno ha deciso di pubblicarne una, e poi ha continuato.
Un cronista, o un inviato, in genere racconta chi è morto, e perché, e dove. Raramente ha il modo di dire delle facce di quelli che ha incontrato, dei loro sguardi. Può raccontare dello sfacelo dello tsunami, ma non lo sguardo degli ultimi sacerdoti cattolici a Banda Aceh, tra i morti affioranti ancora dall’acqua – lo sguardo di chi ostinatamente vuole ricominciare da capo.
Un cronista può dire che il funerale di Pavarotti sembrava uno show, ma non parlare dell’unica ombra che gli è sembrata mancante fra quelle mille telecamere, dell’unica che non è stata invitata, e che pure aleggia nell’odore pesante dei fiori che appassiscono nella cattedrale di Modena. Poi, non c’è neanche bisogno di andare lontano: basta una frase di tuo figlio, o una mattina al mercato, per mettere in moto domande che non si scrivono sui giornali. Dove si può parlare di tutto, ma non di sé: di ciò che profondamente ci sta a cuore, e costantemente censuriamo.
Prefazione di Luigi Amicone
«In un tempo che ci lascia letteralmente senza parole, Marina Corradi inforca i suoi occhiali neri, riempie la penna d'inchiostro impressionista, scende per strada, annota nell'anima...e ci parla».
Luigi Amicone
GLI AUTORI
MARINA CORRADI è inviato e editorialista di «Avvenire» e collabora a «Tempi». Ha iniziato a lavorare come cronista di "nera" al quotidiano milanese «La Notte», poi è passata a «Repubblica» e da qui nel 1988 al quotidiano cattolico. Ha ricevuto nel 2006 il premio "Dino Buzzati" della Provincia di Milano e il premio dell'Unione cattolica stampa italiana per il 2007. Nello stesso anno per la rubrica "Prima che venga notte" ha ricevuto uno dei premi giornalistici Saint Vincent, sotto il patrocinio della Presidenza della Repubblica. Ha tre figli.