La storia della medicina non è separabile da quella politica e sociale nella quale si inscrive, ma non sono pochi gli storici che, trattando dell'una, tacciono dell'altra, considerandola inessenziale ed estrinseca. Hanno dimenticato che, tra il XVIII e il XIX secolo, Parigi fu il centro della medicina universale, resa illustre da protagonisti del pensiero filosofico, dell'innovazione clinica, dell'agire politico. In seguito, la medicina ha cessato di essere una scienza dell'uomo per diventare una confederazione di tecniche. Quale contromisura? Per rimediare agli eccessi dello scientismo e del tecnicismo ci si augura oggi il ritorno a quella "medicina della persona" che si affermò durante la Rivoluzione francese. Giorgio Cosmacini contribuisce qui a recuperare la memoria di un patrimonio ideale in gran parte dissipato o dimenticato, ricercando anche le cause e le conseguenze di tale perdita culturale.
Nei decenni seguiti al secondo dopoguerra, la meritoria figura del "mio dottore", come si usava dire, è entrata via via in dissolvenza, si è consumata, svuotata, fino a lasciare di sé, soprattutto nelle generazioni più mature, soltanto un ricordo permeato di rimpianto. Oggi "il dottore" non c'è più, ma quello che conta, al di là dell'elogio del passato, è non rassegnarsi all'idea che i suoi pregi e principi debbano considerarsi un patrimonio irrimediabilmente perduto. La diagnosi della "scomparsa del dottore" formulata qui da Giorgio Cosmacini può essere la premessa di una prognosi che anticipa, auspica se non altro, con lo sguardo rivolto ai medici di domani, un recupero dei valori di cui quella figura era depositaria.
È un luogo comune dire che la medicina è una scienza. Così non è. La medicina non è una scienza, è una pratica basata su scienze - la fisica, la chimica, la biologia, l'ecologia, l'economia - che differisce dalle altre tecniche perché il suo oggetto è un soggetto: l'uomo. L'autore ricostruisce storicamente il patrimonio scientifico di cui la medicina oggi dispone e considera tale patrimonio come il mezzo necessario per conseguire il fine dell'essere medico, cioè un uomo che cura i suoi simili con competenza e disponibilità.
Uomini di poca qualità che ammantano di ciarle il loro sapere e il loro potere sono numerosi in ogni campo. Nel campo delle cure il ciarlatano è tuttavia una figura dotata di una sua dignità: è infatti il prodotto dell'angoscia esistenziale dell'uomo, dell'ansia di trovare un rimedio, magari solo consolatorio, all'inguaribilità della malattia e alla paura della morte. Sfruttare quest'ansia, lucrare su quell'angoscia, rende però il ciarlatano una figura indegna, un tipo spregevole. Questo libro racconta le storie, dal Medioevo ai giorni nostri, di ciarlatani degni e indegni, vissuti ai margini del mondo medico ma anche dentro di esso.