Enzo Baiamonte, il piccolo eroe testardo della serie di Gian Mauro Costa, ha chiuso per sempre la saracinesca del laboratorio di elettrotecnico. La sarta Rosa, il suo tardivo amore, lo convince a richiedere il patentino di investigatore privato. A che prò - pensa con la scarsa autostima di sempre -, per cercare cagnolini scomparsi, per inseguire qualche adultero? Però, una piccola pensione ce l'ha, per la compagnia ci sono gli scoponi con i quattro amici e poi i lavoretti occasionali non gli mancheranno. Ed è proprio nel corso di uno di questi, che si fissa al solito su una di quelle piste che la fantasia gli fa scorgere. Ingaggiato per curare l'impianto elettrico per la festa della Madonna Addolorata del suo quartiere palermitano, Baiamonte entra in un certo giro, sente discorsi, apprende del cantante neomelodico che è stato anche a lungo uno "scappato" (un piccolo boss fuggito in America durante una guerra tra cosche), si interessa a un individuo di nessun conto ma silenzioso e impenetrabile come una pietra. La sua mente non riesce a star ferma e, contro la sua stessa volontà, comincia a mettere insieme elementi sparsi, che nessuno mai ha pensato di associare: una rapina con il morto innocente, un furgone ammaccato, la scomparsa di un carico d'oro, piccoli furti dalle tombe del cimitero; e legge segni: una foto, una smorfia, un'amicizia infantile, le cure esagerate di una megera, un colloquio cifrato. Così osa immaginare un doppio crimine sottratto alla vista di tutti quanti.
"La Storia della Diocesi di Reggio Emilia - Guastalla si inserisce in un movimento di riscoperta del ministero della Chiesa - come realtà umana e divina, spirituale e istituzionale, locale ed universale -, che ha caratterizzato il secolo XX e il Concilio Vaticano II." (dall'Introduzione di Adriano Caprioli)
Al primo volume dell'opera è allegato un CD-ROM con apparato cartografico, di riferimento per tutta l'opera.
Uno stralcio della biografia della beata Alexandrina Figlia del dolore, madre di amore", allo scopo di offrire al lettore un panorama per una contemplazione breve ma incisiva che lo apra alla conoscenza dell'infinito amore-dolore del nostro Salvatore. "
Perché un altro libro sulla pena di morte? Non solo perché alcuni stati continuano ad affermare il loro “diritto di uccidere”, ma anche perché la pena di morte ci appare come un problema tuttora complesso e sfuggente, nonostante il grande rilievo dato a esso nel dibattito politico-giuridico contemporaneo. Tutti i saggi raccolti nel volume, infatti, si misurano con la natura enigmatica della pena capitale: una pena antichissima e ancora attuale; una pena che affonda le radici nei momenti più arcaici della nostra storia, ma continua a essere proposta come un indispensabile strumento di salvaguardia dell’ordine; una pena che attraversa l’intera storia dell’Occidente, ma è conosciuta e praticata anche da culture lontanissime dalla nostra.
L’obiettivo del libro è non tanto offrire un’informazione dettagliata sul presente e sul passato della pena di morte, quanto sollecitare domande e mettere in discussione presunte certezze. Traspare dal dibattito fra “abolizionisti” e difensori della pena di morte il decisivo problema del fondamento e delle modalità di impiego della violenza “legittima”. Proprio per questo, riflettere sulla pena di morte è un compito attuale e impegnativo. È un compito attuale perché infliggere la morte come pena, lungi dall’essere un residuo del passato, è una possibilità sempre aperta, una tentazione presente anche nelle nostre società. È un compito impegnativo perché può essere assolto solo da chi tenti di mettere in questione una tendenza di cui il nostro presente offre inquietanti testimonianze. È la tendenza ad adottare antiche e persistenti strategie di disumanizzazione dell’altro; la tendenza a inventare sempre nuove, minacciose figure di estraneità e a trasformarle nelle nostre prossime vittime sacrificali.
Commento a più mani alla Lettera ai Filippesi, considerata la più "lettera" tra le lettere dell'Apostolo. Dal carcere Paolo dichiara il suo affetto per i cristiani di Filippi, che interpella come "fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona".