Nel luglio del 1943, pochi giorni prima della caduta di Mussolini, un gruppo di professionisti e intellettuali cattolici si ritrovò nel Monastero di Camaldoli, con l'obiettivo di raccogliere idee comuni per la rinascita del Paese. Il documento, elaborato nel 1943-1944 e pubblicato nel 1945, alla vigilia della Liberazione, caratterizzerà in modo decisivo la nostra Costituzione e le riforme di De Gasperi. L'ispiratore dell'operazione fu Giovanni Battista Montini (il futuro Papa Paolo VI), all'epoca nella Segreteria di Stato vaticana; mentre Sergio Paronetto (scomparso nel marzo del 1945) ne fu il protagonista dimenticato. Accanto al testo originale del Codice di Camaldoli, il libro ricostruisce il clima culturale e politico di quegli anni, ed è arricchito dai commenti di Fausto Bertinotti, Paolo Savona e Valerio Castronovo. Leggere oggi queste pagine vuol dire ripercorrere il periodo più intenso e creativo della nostra Repubblica, affinché possa servire da bussola nella politica del presente che, prima di fare, dovrebbe ricostruire le indispensabili capacità di pensiero, di elaborazione e di coesione per proiettarci nel futuro.
"I manager, una razza padrona che controlla le aziende e le istituzioni pubbliche. Il saggio di Michele Dau ripercorre la storia di questa figura dalla prima organizzazione industriale di massa fino alla "rivoluzione manageriale" del dopoguerra. I manager hanno oggi tradito la loro missione, divenendo una casta, ancora molto maschile, di tecnocrati autoreferenziali, causando così scelte sbagliate e talora disastrose. Capitani di navi lasciate alla deriva, gli alti dirigenti appaiono incapaci di coordinare modelli innovativi di lavoro, di valorizzare le risorse umane affidate. Si è da tempo interrotta una storia positiva interpretata nell'Italia contemporanea da figure come Beneduce, Menichella, Giordani, Olivetti, Mattei, Saraceno, che sono stati anche sviluppatori e imprenditori attenti al bene collettivo. Per tornare a quella storia virtuosa, ai buoni manager, dei quali c'è un grande bisogno per riorganizzare le nostre strutture economiche e sociali, la strada è obbligata: vanno rifondate la cultura del merito e le sue basi morali e propulsive. In altre parole va affermato il principio della responsabilità, riferita ai risultati concreti e ai loro effetti sociali."