In questo fondamentale studio - definito dal «Times Literary Supplement» «impressionante per la padronanza dell'argomento e l'originalità delle tesi» - Christopher Dawson sostiene che i cosiddetti «Secoli Bui», il periodo storico che va dal IV all'XI secolo, non furono affatto uno sterile preludio all'energia creativa sprigionatasi dopo l'anno Mille. Al contrario, l'Alto Medioevo andrebbe descritto come un'età di rinascita perché fu allora che la complessa interazione tra l'Impero romano, la Chiesa cristiana, la tradizione classica e le società barbariche determinò la genesi di un'unitaria e vitale cultura europea. Scrivendo nel 1932, nel pieno di una profonda crisi europea - insieme culturale, politica, morale ed economica - nella quale le forze nazionalistiche sembravano aver vinto la battaglia delle idee, Dawson sosteneva che «se la nostra civiltà vuole sopravvivere è necessario che sviluppi una coscienza europea comune e la consapevolezza di una unità storica e organica». Dawson aveva chiaro che quell'unità richiedeva però soluzioni ben diverse da quelle imposte dai movimenti politici al potere e dalle teorie economiche che andavano per la maggiore. Era necessario - allora come oggi, verrebbe da dire - che l'Europa riscoprisse le proprie radici cristiane e con esse - e come loro conseguenza - l'aspirazione all'universalismo, contro ogni nazionalismo e ogni protezionismo.
Opera di sintesi, essa fa uso degli strumenti dell'antropologia culturale, della sociologia, della filosofia, dello studio comparato delle religioni e della storiografia per delineare alcune tesi di storia della cultura e della civiltà che, pur rielaborate e perfezionate, rimarranno sempre al centro del pensiero dello studioso. Analizzando l'evoluzione dell'idea di progresso, che tanta parte ha avuto nella storia dell'Occidente e che si riflette nell'ingenua ma persistente convinzione che il mondo evolva necessariamente verso il meglio, Dawson identifica nella religione l'anima e il principio dinamico di ogni cultura. Di conseguenza segnala il mortale pericolo che insidia la civiltà occidentale a causa del moderno processo di secolarizzazione, il quale ne recide le radici più profonde. Non solo l'aspetto religioso può essere irrimediabilmente compromesso. Anche le istituzioni politiche, le acquisizioni sociali, le conquiste scientifiche e tecnologiche di cui l'Occidente va giustamente fiero, rischiano una fatale corruzione.
Negli anni '30 del secolo scorso, lo storico inglese Christopher Dawson (1889-1970) alternò alla stesura delle sue opere più ponderose un'intensa attività giornalistica ed editoriale. Fra le iniziative da lui curate spicca una collana di piccoli saggi in edizione economica. Alla serie, che comprendeva opere di autori come Jacques Maritain, Nikolaj Berdjaev, Carl Schmitt, Rudolf Allers, contribuì con "Il dilemma moderno", uscito nel 1932, quando già era riconosciuto come uno dei maggiori studiosi della civiltà occidentale. In questo volume, Dawson analizza e discute la crisi culturale, prima che politica, che ha portato l'Europa a una condizione di guerra civile acuita dagli esiti della prima guerra mondiale -, all'instabilità sociale e alla perdita della leadership mondiale. Tale crisi è dovuta, secondo l'autore, al rifiuto del cristianesimo proprio negli ambiti in cui maggiore è stato il contributo europeo: il pensiero e le istituzioni politiche da una parte, e la ricerca scientifica con le sue ricadute tecnologiche dall'altra. A suo giudizio, solo la riscoperta delle radici cristiane di una democrazia correttamente intesa e di una scienza e di una tecnica non più autoreferenziali potrà salvare la nostra civiltà dall'alternativa fra dittature rivoluzionarie e tecnocrazie irresponsabili, differenti nella forma ma ugualmente totalitarie. Il recupero della sua anima e della sua vocazione consentirà all'Europa di svolgere un ruolo di progresso e pacificazione