Il carattere dell'umorismo ebraico, che si esprime in un riso tra le lacrime, è identificabile in un'ironia riflessiva, diretta verso sé stessi e gli appartenenti alla medesima comunità di destino. È una disposizione a farsi beffe di sé anche nelle situazioni più difficili. Vitale reazione all'antisemitismo, essa è un mezzo per eludere i persecutori, ridicolizzare gli autori dei pogrom, difendersi da una realtà di sofferenza rendendola sopportabile anche solo per un istante. L'umorismo ebraico arriva a coinvolgere anche Dio, messo spesso sotto tiro a battute di spirito, con una riverenza irriverente unica nel suo genere. Perché l'ironia, forse anche più dell'amore, è la migliore forma di immunità contro il fanatismo e l'odio, qualcosa di indispensabile per le relazioni tra gli esseri umani.
Nelle Melodie ebraiche di Heine, il principe Israele, a causa di «un sortilegio», viene trasformato in cane. Nella Metamorfosi di Kafka il protagonista si ritrova mutato in uno scarafaggio e il vocabolo Ungeziefer (parassita) di cui si serve lo scrittore praghese è lo stesso usato dai nazisti per definire l'ebreo-parassita. Non a caso, nei campi di sterminio venne utilizzato lo Zyklon B, acido prussico concentrato, un pesticida letale. Primo Levi ha fatto notare che «si doveva usare, e fu usato, quello stesso gas velenoso che si impiegava per disinfestare le stive delle navi, ed i locali invasi da cimici o pidocchi. Sono state escogitate nei secoli morti più tormentose, ma nessuna era così gravida di dileggio e di disprezzo». Attraverso le pagine della letteratura, questo libro ripercorre i modi in cui gli ebrei sono stati spogliati di umanità, considerati scarti umani e ridotti all'animalità.