"La storia dei Wu Ming è una storia che vale la pena raccontare. Non tanto, o non solo, perché la loro scrittura ha lasciato segni ben visibili nel panorama letterario italiano, o per lo scossone che le azioni di Luther Blissett prima, e i libri di Wu Ming dopo, hanno dato a certa cultura pigra e salottiera, appisolata nelle ritmiche scadenze di vecchi sperimentalismi e nuovi premi. Ma anche, e soprattutto, perché le storie che raccontano ci appartengono per davvero. Sono nostre, siamo noi. Nate da un lavoro collettivo, prese dalla collettività e a essa restituite, le narrazioni di Wu Ming si sporcano le mani nel fango che tutti abbiamo attraversato, senza consolazione e senza retorica. Ed è proprio scavando nella melma di un passato al quale non ci si può più permettere di fare sconti che la speranza riesce nuovamente a emergere, a imporsi su qualunque sconfitta".
Questo è un libro che ha sognato di essere scritto sulla corteccia di un albero col becco di un picchio nero, e restare ferita aperta in cui abitano funghi, si arrampicano licheni. Questo è un libro che ha provato a fare silenzio nella scrittura, perché chi legge potesse ascoltare la voce del bosco e dei suoi abitanti; reali o fantastici. Questo è un libro per perdersi, godendo dello smarrimento, e anzi trovando in esso gli ultimi scampoli possibili di una salvezza primigenia. Questo è un percorso irto di ostacoli per chi deve imparare a smarrire il mondo per ritrovare se stesso.