Il testo è un puzzle filosofico e letterario che si muove tra Hegel e Genet, un discorso che non inizia (in quanto già iniziato) e che non finisce (in quanto continua anche dopo la morte dell'autore), dove è difficile capire qual è il testo principale e quale il commento o la nota. Tra i molteplici temi che si intrecciano e si richiamano quello della generazione della famiglia, del desiderio e della differenza sessuale, del nome proprio e dell'identità. Se la filosofia di Derrida è nota come "teoria della decostruzione", questo libro si può considerare come la sua "pratica di quella stessa decostruzione."
Nel discorso pronunciato a Francoforte in occasione del Premio Adorno, il 22 settembre 2001, Jacques Derrida prese spunto da un sogno che Walter Benjamin raccontò per lettera alla moglie di Adorno per affrontare l'antico problema dei rapporti tra il sogno e la veglia: è possibile parlare del sogno senza sottomettersi al dominio della veglia? Muovendo da questo problema gnoseologico Derrida si avvicina a questioni di scottante attualità politica: l'estraneità dell'esperienza onirica diventa quella dello straniero, e riconoscerne l'irriducibilità significa garantire i diritti dell'altro, compito fondamentale di un nuovo illuminismo che ammetta la possibilità di un discorso filosofico "marginale", "minoritario" e "sognatore".