Prendendo le mosse dal concetto di iterabilità, collegandolo alle moderne tecnologie e alle questioni etiche che ci impongono, in quest'intervista del 2001, Derrida attraversa molti nodi problematici della sua filosofia - la traccia, il resto, la rimanenza, il supplemento, il fallogocentrismo e la sua necessaria decostruzione, la distinzione tra différence e différance e quella tra oralità e scritturala - e della sua biografia - il controverso rapporto con la sua ebraicità, la "difesa" di De Man e il "caso" che ne è seguito, le sue posizioni riguardo al "nazismo" di Heidegger - producendo un intreccio molto interessante tra vita e pensiero, filosofia e biografia, che troverà nella letteratura un suo grande punto di forza e una felice sintesi.
Testimonianza di una nobile e sincera amicizia, il libro è il generoso omaggio di un grande filosofo a un filosofo più giovane che da principio ne ha seguito le tracce, per imporsi poi con un’opera originale. Omaggio filosofico, ovviamente: per quanto non manchino pagine intensamente affettuose che conferiscono un caldo colorito alle ricorrenti riflessioni sull’amicizia, il volume è dedicato a una lettura del pensiero di Jean-Luc Nancy (ben noto anche in Italia), considerato sotto una particolare angolazione, la questione del tatto, in tutti i significati che la parola ha assunto nella cultura occidentale, da quello erotico a quello religioso, da quello gnoseologico a quello etico. In un serrato dialogo con una tradizione che muove dall’antichità, ma con particolare attenzione a quella che Derrida chiama una linea filosofica «franco-tedesca», il libro, pur incentrato su Nancy, ne mette a confronto la scrittura con le tesi classiche in numerose digressioni che muovono da Aristotele per toccare Descartes e S. Giovanni della Croce, il Nuovo Testamento e Kant, il problema di Molineux e Maine de Biran, Husserl e Merleau-Ponty, Lévinas e Heidegger. Derrida tuttavia non elabora un trattato, e meno che mai si preoccupa di tracciare un capitolo della storia della filosofia occidentale, ma, secondo lo stile che caratterizza la sua splendida maturità, affida a un scrittura straordinariamente affascinante, benché non facile, il compito di cercare «nel solco di Heidegger, la specificità di un pensiero che non si riduca né alla poesia, né alla filosofia né alla scienza».
Accompagnato dai lavori di Simon Hantai
GLI AUTORI
JACQUES DERRIDA nasce il 15 luglio 1930 a El Biar, nei pressi di Algeri. Ha insegnato prevalentemente a Parigi e negli Stati Uniti, e ha ottenuto lauree e dottorati honoris causa in molte Università presenti nel mondo. Riconosciuto come uno dei maggiori filosofi del nostro tempo, ha prodotto lavori che sono stati tradotti in una decina di lingue e che sono stati oggetto di convegni e incontri in Francia, Italia, Germania, Inghilterra, Canada, Stati Uniti e Giappone. Muore a Parigi il 9 ottobre 2004.
Il punto di partenza è un gustoso paradosso: qui Derrida immagina il giorno in cui Dio convoca Abramo per il sacrificio di Isacco. Data la delicatezza dell'"incarico", la prima preoccupazione è che la cosa non assuma i toni di una notizia di cronaca: "Mi raccomando Abramo: questa volta niente giornalisti!". E da qui tutta una tirata polemica e divertita sul fatto che le cose serie della vita e del pensiero non possono né essere divulgate dai giornali, né raccontate ai tanti consiglieri e confessori di cui è piena la vita moderna.