Il centro di questo libro è fuori del libro, in altri libri: nell'opera di Vincenzo Vitiello, con la quale gli autori si sono nel tempo confrontati. Per gli ottant'anni del filosofo, hanno accolto volentieri l'idea di proseguire un colloquio, che riprende figure e domande fondamentali del pensiero occidentale - da Platone a Aristotele, da Kant a Hegel, da Nietzsche a Heidegger a molti altri -, in una pluralità di proposte che dimostra la fecondità del dialogo tenuto nel corso di questi anni da alcune delle maggiori voci della filosofia contemporanea.In filosofia non esistono tradizioni che non vengano sempre nuovamente rimesse in questione. La forma stessa del mettere in questione, del logon didonai, ha da essere interrogata circa il suo statuto e la sua legittimità. Una scepsi radicale attraversa dunque il pensiero filosofico. «Chi vuole che la sua parola abbia senso, deve farsi forte di ciò che a tutti è comune e ha senso»: così si legge in un frammento di Eraclito. Nei testi che qui si presentano, la filosofia e i filosofi che la praticano danno forza a ciò che è loro comune, ma sperimentano anche l'infirmitas di questa forza, secondo la lezione più cara a Vincenzo Vitiello. Interventi di: M. Adinolfi, A. Bellantone, S. Benso, G. Bensussan, M. Cacciari, G. Cantillo, G. Carillo, J.-F. Courtine, B. de Giovanni, D. Di Cesare, G. Di Tommaso, M. Donà, F. Duque, R. Esposito, A. Fabris, F. Ferrari, E. Forcellino, B. Forte, R. Gasparotti, G. Giorello, G. Goria, E. Lisciani-Petrini, N. Magliulo, E. Mazzarella, E. Mirri, G. Moro, G. Petrarca, G. Rametta, E. Redaelli, V. Rocco Lozano, R. Ronchi, E. Severino, C. Sini, A. Tagliapietra, L. V. Tarca, F. Tessitore, F. Tomatis, A. Trione, F. Valagussa, C. Invernizzi.
Ha perfettamente ragione Vincenzo Vitiello, quando, nell'introduzione a questo volume afferma: "Pochi scrittori - poeti, romanzieri, ma anche critici e storici, filosofi e scienziati - abitano il linguaggio al modo in cui accade a Carlo Invernizzi, poeta". Le cui parole vogliono davvero essere "cose". E, proprio per questo, prendono drasticamente le distanze da quelle che tutti pronunciamo ogni giorno... parole vuote, magari efficaci, ma sempre fraintese, impotenti o quanto meno fragili. Carlo Invernizzi cerca, infatti, una parola che sia in grado di essere la cosa stessa. La roccia, l'altura, la luce, il colore, il confine, il dolore, la gioia... devono dunque lasciarsi contorcere, dire, ma anche disdire, dalle parole in cui "dovranno" a tutti i costi trovare casa. Per questo, nessuno dei lemmi "intuiti" dal nostro poeta avrebbe potuto risolversi nella mera conformità a una sintassi e a una concettualità che, del mondo, non sarebbero mai riuscite neppure a lambire il cuore imprendibile. Lo stesso in relazione a cui, invece, Invernizzi osa; azzardando il disegno di uno sguardo che, trapassando inquieto, di soglia in soglia, sappia farsi davvero poesia. Postfazione di Massimo Donà.