I temi della fede e della religione, e del loro conflitto con la cultura laica, sono da qualche tempo al centro di un interesse mediatico crescente, alimentato anche dalle polemiche politiche suscitate dal moltiplicarsi degli interventi e delle "scomuniche" del papa e della Conferenza Episcopale Italiana contro la modernità. Mancava fin qui, tuttavia, un testo di discussione, da punti di vista diversi e reciprocamente problematici, sulle ragioni dell'ateismo e della fede. Un confronto tra gli esponenti di tre posizioni ideologiche molto lontane tra loro, accomunate però dal rifiuto di ogni appartenenza accademica: il cristianesimo nietzschiano del "pensiero debole" di Gianni Vattimo, la saggezza atea di una tradizione antica rilanciata da Michel Onfray e l'empirismo naturalistico-esistenziale della "filosofia del finito" di Paolo Flores d'Arcais. In questo insolito dialogo a tre voci emergono tutti gli interrogativi essenziali legati al problema, a partire da quello più generale: quali devono essere i rapporti tra filosofia e ateismo? L'"ipotesi Dio" deve ormai essere considerata superflua anche dalla riflessione filosofica, visto che le scienze ne fanno metodologicamente a meno? Quali sono le conseguenze etiche e politiche dell'essere atei o, all'opposto, credenti?
La filosofia deve tornare all'impegno. Si tratta di un impegno più esigente di qualsiasi rivoluzione, capace di trasformare ogni individuo non in un ottenebrante "noi" (foriero di verità parziali quanto pericolose), ma in un "tu" per l'altro. L'etica del tu è dunque ancora una volta, per Flores, un'etica senza fede ma basata sull'in-certezza della verità che, sola, può sottrarre l'individuo alla narcosi della Verità-una. Entro questa prospettiva di ricerca, in cui la battaglia etica si traduce in lotta per salvaguardare di volta in volta i diritti dell'individuo, si collocano i saggi dell'autore sulla libertà e sulle virtù di una nuova cittadinanza politica che restituisca alla democrazia un valore non formale ma sostantivo.