A un secolo dal delitto Matteotti, il ricordo del deputato socialista rischia di rimanere confinato alle terribili modalità della sua morte, che hanno fatto di lui un'icona del martirio. A ciò si è aggiunta l'evocazione di una poco convincente pista affaristica sulle ragioni dell'omicidio, che in realtà fu la risposta di Mussolini all'intollerabile sfida di quel tenace e inflessibile avversario che in Parlamento lo contrastava efficacemente. È dunque rimasto trascurato e poco conosciuto il vero Matteotti: il politico animato da un intransigente progetto riformista, il coerente assertore di una lungimirante visione internazionalista, il leader che si espone anche per i tanti compagni defilatisi quando la lotta diviene senza risparmio di colpi. Questo libro, frutto di una lunga ricerca su documentazione d'epoca, ricostruisce fin nei dettagli la figura di Giacomo Matteotti nella dimensione famigliare, nell'affermazione sulla scena nazionale quale implacabile oppositore dell'illegalismo fascista e - prima ancora - del massimalismo socialista. Ma non solo. In parallelo, quasi in un gioco di specchi, il volume illustra i significativi intrecci personali e politici con l'itinerario di Benito Mussolini, dall'iniziale collocazione in area socialista e dalle comuni pulsioni antimilitariste, e poi nelle diversificazioni dinanzi alla Grande Guerra, con una contrapposizione costante e irreversibile sino al tragico epilogo. La ricostruzione di Franzinelli va ben oltre l'arco temporale della vita di Matteotti: segue infatti le tracce degli assassini, approfondisce personalità e ruolo di esecutori e complici, individua i solerti depistatori ed esamina la (momentanea) disgregazione del blocco mussoliniano provocata dallo sdegno per il delitto, spiega le modalità di superamento della più grave crisi politica del Ventennio, svela le mistificazioni del processo alla «Ceka del Viminale» e porta alla luce il persistente legame tra il duce e il gruppo criminale cui commissionò l'eliminazione di quel suo nemico giurato. Un testo documentato e avvincente, che si leva al di sopra dei cliché sulla tragica fine del deputato socialista e dal quale emergono le variegate sfaccettature della personalità di Giacomo Matteotti, un politico che guardava all'avvenire e il cui insegnamento conserva aspetti di persistente attualità.
Giovanni Gentile non è stato soltanto l'insigne filosofo dell'«atto puro», autore della «storica» riforma scolastica e direttore dell'"Enciclopedia Italiana". Sin dal 1922, subito dopo la Marcia su Roma, si rivelò anche uno dei più influenti intellettuali dell'Italia littoria. Animato da un forte protagonismo politico e da un malcelato desiderio di potere, ricoprì innumerevoli incarichi e ruoli apicali negli anni cruciali della stabilizzazione del consenso al regime: ministro della Pubblica istruzione, senatore, membro del Gran Consiglio del fascismo, estensore del Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925, ideatore del giuramento di fedeltà imposto ai professori universitari nel 1931, direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa, fondatore e presidente dell'Istituto nazionale fascista di cultura. Pronto a mettere al servizio del duce la sua vasta cultura e abilità di divulgatore, Gentile diventa un suo fidato consigliere, lo smanioso organizzatore di iniziative editoriali a sfondo propagandistico, l'ideologo di guerre a cui non prende parte. A causa di un itinerario così compromettente, perderà per strada molti tra colleghi, amici, discepoli ed estimatori. Oltre a Benedetto Croce - che gli contrapporrà il Manifesto degli intellettuali antifascisti -, Piero Gobetti, Guido De Ruggiero, Gaetano Salvemini, per citarne alcuni. Gentile rimane al fianco di Mussolini anche dopo il 25 luglio 1943 e la caduta del fascismo. Fino al 15 aprile 1944, quando viene ucciso da un gruppo di partigiani comunisti nei pressi della sua villa di Firenze. Da decenni, sulla natura di questo «delitto politico», s'infittiscono polemiche giornalistiche e storiografiche, spesso viziate da ricostruzioni d'impianto dietrologico che hanno fatto ricadere ogni responsabilità sul PCI di Togliatti, su centri occulti interni e stranieri, senza mettere in adeguato rilievo il clima di «guerra civile» in cui precipitò l'Italia nel 1943-45. Il documentato libro di Franzinelli fa chiarezza su questo e altri aspetti oscuri della biografia gentiliana. Lo sconcertante quadro che ne emerge fa riflettere su come uno stimato intellettuale possa mutare le proprie idee fino a snaturarle, compiendo precise scelte di campo che, di fatto, contribuirono a rafforzare la dittatura mussoliniana. A pagarne il prezzo più alto fu il popolo italiano. E lo stesso Gentile.
Il 23 marzo 1919 è una data cardine nella storia d'Italia. Quel giorno, a Milano, in piazza San Sepolcro, al primo piano di Palazzo Castani, elegante edificio di fine Quattrocento, l'ex socialista Benito Mussolini fonda i Fasci italiani di combattimento. Sulla scena politica irrompe un movimento di tipo nuovo, aggressivo e dinamico, che non solo mescola estremismo di destra e radicalismo di sinistra ma raccoglie simpatizzanti di ogni genere: Arditi, futuristi, reduci, massoni, socialisti, sindacalisti rivoluzionari, anarchici. La maggior parte di loro sono giovani. Il programma è avanzato e decisamente riformista: si propongono la Costituente repubblicana dei combattenti, l'abolizione del Senato, il suffragio universale maschile e femminile, l'introduzione delle otto ore lavorative. Mussolini, in particolare, vuole affidare la guida del Paese a una nuove élite, l'aristocrazia dei combattenti. L'obiettivo è spodestare la vecchia classe dirigente liberale, scongiurare il pericolo bolscevico e conquistare il potere. Dalle colonne de «Il Popolo d'Italia», il quotidiano interventista creato nel 1914 grazie ai finanziamenti degli industriali, Mussolini rivendica l'annessione di Fiume e della Dalmazia, soffia sul fuoco della crisi economica, legittima l'uso della violenza come strumento di lotta politica (il primo assalto alla sede dell'«Avanti!» avviene il 15 aprile 1919). Eppure, per il fascismo delle origini le elezioni di novembre si rivelano un insuccesso: Mussolini non viene neppure eletto alla Camera ed è addirittura arrestato per violenze. Come il leader fascista reagì alla sconfitta e riorientò il suo movimento verso nuove prospettive? Chi lo aiutò in quel frangente? Lo spiega in maniera chiara ed esauriente Mimmo Franzinelli, ponendo al centro della sua analisi proprio il "diciannovismo", ossia quella pericolosa miscela di violenza verbale e fisica che avvelenò il clima sociale dell'epoca, scatenando lampi di guerra civile. Sulla base di inedite fonti d'archivio, l'autore ha potuto ricostruire le variegate identità e i tortuosi percorsi biografici di chi, quel 23 marzo 1919, partecipò all'«adunata», un evento che la propaganda di regime - inventando il «brevetto di sansepolcrista» - innalzerà a vero e proprio mito fondativo del fascismo. A un secolo esatto di distanza dalla fondazione dei Fasci italiani di combattimento, le pagine di Franzinelli hanno il merito di gettare nuova luce sull'avventura politica e personale di Mussolini e di ricostruire, in maniera scrupolosa, il preludio di una dittatura.
La tortura riemerge periodicamente nelle cronache quotidiane, con vicende che impressionano l'opinione pubblica. Manca, tuttavia, a oggi una ricostruzione documentata del periodo in cui in Italia si torturò in modo diffuso: dall'autunno 1943 alla primavera 1945, nel territorio della Repubblica sociale occupato dai tedeschi. Attraverso fonti inedite depositate in archivi pubblici e privati Mimmo Franzinelli ripercorre il diverso uso della tortura da parte dei militari germanici e dei vari gruppi armati della Rsi, raccontando i più famigerati luoghi di sevizie, ma anche alcuni personaggi che seppero eroicamente resistere a ogni pressione. Senza nascondere che proprio grazie a questi trattamenti disumani si riuscì a infliggere danni enormi alla rete clandestina antifascista. Vengono inoltre spiegate le tecniche impiegate dalla Banda Koch, dalla Legione Muti e dai principali gruppi speciali di polizia. Si racconta di staffette partigiane cadute nelle mani del nemico, ma anche delle sevizie praticate da taluni partigiani, in violazione delle stesse norme stabilite dal CLN in materia di trattamento dei prigionieri. E nelle pagine finali si spiega come, grazie all'"amnistia Togliatti", molti "torturatori efferati" l'abbiano passata liscia, senza rispondere penalmente dei loro crimini.
Novant'anni fa, il 1° febbraio 1927, s'insediava a Roma, nell'Aula IV del Palazzo di Giustizia, il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, un organo composto da magistrati e giudici in camicia nera reclutati tra gli squadristi. Mussolini, dopo il discorso del 3 gennaio 1925 e l'introduzione delle «leggi fascistissime» - che avevano soppresso la libertà di stampa, di associazione e il diritto allo sciopero -, mostrava il suo vero volto, quello di un dittatore disposto ormai a tutto. Per i nemici del regime, ma anche per i semplici cittadini che osavano criticarlo, non c'era più spazio per il dissenso. Anzi, non c'era più spazio per la libertà. Agli imputati, condotti di fronte alla corte e rinchiusi in un gabbione, non rimaneva che attendere il verdetto: d'altra parte, come potevano difendersi se l'istruttoria era segreta? Fino al luglio 1943 la magistratura, sottoposta agli ordini del duce, processerà migliaia di oppositori politici (tra loro, Antonio Gramsci, Umberto Terracini, Altiero Spinelli, Sandro Pertini, solo per citarne alcuni) e persone comuni, accusate di spionaggio, contrabbando valutario, mercato nero... Le condanne a morte, mediante fucilazione alla schiena, saranno un'ottantina. Eppure, la storia del Tribunale speciale dello Stato è rimasta sostanzialmente sconosciuta. Poco studiata. Persino l'imponente biografia mussoliniana di Renzo De Felice, punto di riferimento irrinunciabile per chiunque si occupi del Ventennio, gli dedica meno di due pagine. Il libro di Mimmo Franzinelli, basato su fonti d'archivio sinora inesplorate, riempie questo «vuoto», e lo fa documentando attività e funzioni del Tribunale, svelando l'intreccio tra persecutori e perseguitati, raccontando i segreti, assai poco commendevoli, della magistratura di regime: gli scandali su cui fu imposto il silenzio, le ruberie dei giudici, la corruzione degli avvocati, le sentenze palesemente truccate, la terribile situazione in cui vennero a trovarsi le donne, vittime di una giustizia ferocemente maschilista (il solo essere figlia, sorella o moglie di un sovversivo comportava l'arresto, senza riscontri oggettivi di reato). Ma Franzinelli dedica pagine efficaci, ricche di dettagli e informazioni, anche ad altri aspetti, non meno inquietanti, dell'intera vicenda, come il potenziamento del Tribunale speciale durante la seconda guerra mondiale e, soprattutto, il colpo di spugna che dopo il 1945 «perdonerà» quasi tutti i responsabili. In nome della continuità dello Stato, si doveva archiviare (e dimenticare) un passato troppo scomodo.
Furono vigliacchi o eroi? Si rifiutarono di partire per il fronte nella Seconda guerra mondiale, non rientrarono da una licenza, fuggirono dalle lande gelate durante la Campagna di Russia, non vollero accettare la Repubblica sociale dopo l'8 settembre: migliaia di ragazzi giovanissimi, anche se molti già padri di famiglia, spesso gli unici a portare a casa uno stipendio finirono davanti ai Tribunali di guerra. Quelli condannati alla fucilazione subirono l'infamante morte riservata ai traditori. La diserzione è, senza dubbio, un lato oscuro del Secondo conflitto mondiale, ignorato sinora dai libri di storia, i cui segreti serbati negli archivi dei Tribunali militari, nei diari e nelle testimonianze di tanti reduci vengono qui finalmente svelati ed esplorati con scrupolo. Mimmo Franzinelli rivisita questo complesso periodo storico per delineare tipologia e motivazioni dei disertori, e lo fa analizzando le dinamiche repressive (Codice penale di guerra, Tribunali militari, modalità delle esecuzioni capitali) e ricostruendo le storie di tanti soldati, nei più disparati scenari, le cui drammatiche vicende sono sottratte all'oblio non solo grazie ai diari inediti ma anche al ricordo ancora attuale dei loro parenti.
Sessant'anni fa il settimanale "Candido" di Giovannino Guareschi pubblicava due lettere datate gennaio 1944 e firmate da Alcide De Gasperi, in cui si esortavano gli angloamericani a bombardare Roma, affinché il popolo insorgesse insieme ai "nostri gruppi Patrioti". La polemica che ne scaturì, condotta sulle colonne di quotidiani e settimanali dell'epoca, si rivelò furibonda. C'era una sola domanda a cui nessuno sembrava rispondere in maniera convincente: De Gasperi le aveva davvero scritte, quelle lettere? A decidere, nell'aprile del 1954, fu il tribunale di Milano. La sentenza, pur rinunciando alla perizia grafologica, sancì la falsità delle missive e Guareschi fu condannato a un anno di reclusione. Il noto scrittore e vignettista rinunciò a ricorrere in appello e varcò le porte del carcere: sopporterà con fierezza la pena, ma ne uscirà indelebilmente segnato. La vicenda scosse in maniera profonda anche De Gasperi, costretto a difendersi di fronte all'opinione pubblica da un'accusa così infamante. Grazie alla scrupolosa analisi di una vasta documentazione inedita (conservata negli archivi di Alcide De Gasperi, di Giovannino Guareschi e di Giorgio Pisano), "Bombardate Roma!" delinea i contorni di una vicenda ancora avvolta nel mistero. L'indagine di Mimmo Franzinelli dimostra infatti l'esistenza di un "livello segreto", un piano messo a punto da un gruppo neofascista che ideò e fece costruire gli apocrifi. Conclude il libro un saggio della grafologa giudiziaria Nicole Ciccolo.
Da sempre motivo di profonda curiosità, gli amori di Mussolini sono stati sinora ricostruiti essenzialmente su fonti di seconda mano, spesso riciclando aneddoti ormai risaputi. Mimmo Franzinelli, grande conoscitore degli archivi storici italiani e stranieri, recupera dagli archivi di Stato e da fondi privati materiali e testimonianze finora inediti - i rapporti di polizia sulle donne del "Capo", le testimonianze di Claretta Petacci, le memorie dei collaboratori del duce, in particolare dell'autista Ercole Boratto - che consentono di ricostruire in chiave meno romanzata non solo le molteplici relazioni sentimentali di Mussolini, ma anche le sue piccole e grandi vanità, il suo bisogno di disporre contemporaneamente di più partner, la sua brama di possesso e il demone della gelosia che lo tormentava. Divenuto duce del fascismo, ai rapporti (predatori) di cameratismo degli anni giovanili Mussolini preferisce relazioni centrate sulla sua assoluta supremazia e sulla subalternità delle partner: vive la propria sessualità come l'altra faccia della politica, convinto che la donna, come la folla, ami essere posseduta e dominata. Abituato a cogliere il piacere al volo, dove e come capita, s'accoppia fuggevolmente con cameriere e precettrici, con borghesi e con nobili, senza preconcetti di rango o di cultura.
La tragica avventura della Repubblica di Salò è stata fra le più pesantemente colpite dalle semplificazioni ideologiche. Tanto le versioni dei vincitori quanto quelle dei vinti hanno trascurato, e mistificato, la realtà storica a favore dell'esaltazione di amor di patria, sentimento nazionale, passione civile e - da ultimo - consacrazione eroica delle vittime. Mimmo Franzinelli si lascia alle spalle queste logiche e sulla base di fonti inedite o sinora trascurate descrive la tentata resurrezione del fascismo nel settembre 1943 e i successivi sviluppi fino all'aprile 1945. Gli scritti di Mussolini, i rapporti di Kappler per Hitler, le carte di Claretta Petacci, i notiziari della Guardia nazionale repubblicana, le note della Segreteria particolare del duce rivelano una storia inedita di equilibri estremamente instabili, dove Mussolini, inseguendo il sogno di una rinascita improbabile - anche sul piano personale -, svolge comunque un ruolo da protagonista nella guerra civile innescata dalla costituzione della RSI e dall'insediamento del suo quartier generale sul lago di Garda. Consapevole di essere ostaggio dei nazisti, il vecchio dittatore, esautorato dai tedeschi, criticato dai suoi stessi colonnelli e lontano dal suo popolo, è costretto in un microcosmo di sopravvissuti dove unico referente resta Claretta, la giovane amante, e obiettivo primario - ossessivamente quanto vanamente perseguito - è spostare la sede di governo lontano da Salò.
Nel maggio 1967 un’imponente campagna giornalistica lanciata dall’ “Espresso” rivelò che tre anni prima, nell’estate del 1964, durante la crisi del governo Moro, il generale De Lorenzo e il presidente della Repubblica allora in carica Antonio Segni predisposero un progetto che prevedeva il controllo del Paese da parte dell’Arma dei carabinieri e l’arresto di centinaia di cittadini. Per anni il “piano Solo”, forse il primo tentativo golpista dell’Italia repubblicana, è rimasto avvolto nel mistero, anche a ragione degli omissis posti dal governo. Sulla base di documenti a lungo coperti dal segreto di Stato e dei rapporti della Cia recentemente declassificati, nonché di interviste a protagonisti e a testimoni di allora (dai giornalisti Eugenio Scalfari e Lino Jannuzzi al portavoce di Moro, Corrado Guerzoni), Mimmo Franzinelli ricostruisce il progetto politico e l’organizzazione militare di quel piano, in un’indagine storica che prende il via dalle schedature del servizio segreto militare (Sifar) contro la classe politica. Tra spionaggio, processi e dossier illegali, un’altra pagina misteriosa della storia d’Italia che chiama in causa un’intera classe dirigente.
All'alba del 12 settembre 1919 un migliaio di granatieri, fanti e arditi marcia alla conquista di Fiume, crocevia di culture ed etnie, unico sbocco al mare del dissolto regno d'Ungheria. A guidare i "ribelli" c'è il Poeta-soldato Gabriele d'Annunzio, deciso a rivendicare alla madrepatria la città, abitata in maggioranza da italiani. L'intrepida avventura militare aumenterà il prestigio internazionale del Vate e gli conferirà uno straordinario credito politico presso le masse di reduci e arditi, studenti e futuristi che, di lì a poco, confluiranno nel fascismo mussoliniano.
L'immaginifica creatività di d'Annunzio dà vita a un insolito esperimento insieme politico ed esistenziale. Incurante dell'ostilità del governo italiano e degli Alleati, il Comandante recluta un esercito di legionari, tiene a battesimo quotidiani e riviste, celebra adunate patriottiche e militari (con tanto d'inno ufficiale), tenta di organizzare una nuova forma di socialità e perfino un nuovo Stato, la Reggenza del Carnaro. E ottiene la concreta solidarietà - dimostrata con una visita ufficiale a Fiume - di personalità celebri come Arturo Toscanini e Guglielmo Marconi.
Ma il "sogno" durerà poco. Nel dicembre 1920, il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti ordina lo sgombero della città e con l'uso della forza, dopo cinque giorni di scontri sanguinosi, decreta la fine dell'impresa. Osannato dalla folla, d'Annunzio abbandona a malincuore Fiume per ritirarsi nella gabbia dorata del Vittoriale, ma l'avventura appena conclusa finirà per imprimersi come evento-simbolo nella tormentata ridefinizione dell'Europa postbellica. A novant'anni da quegli eventi, Mimmo Franzinelli e Paolo Cavassini rievocano le tappe essenziali dell'impresa fiumana con una selezione di oltre trecento fotografie, introdotte da un interessante saggio che attinge a fonti in gran parte inedite.
Fiume è il racconto per immagini, storicamente rigoroso e suggestivo, dell'avventura politica che, prima ancora dell'avvento del fascismo, segnò la crisi dello Stato liberale italiano.
Militari allineati in perfetto ordine, pronti a combattere per l'onore della patria: è questa l'immagine della Repubblica sociale italiana sedimentatasi nella memoria collettiva, soprattutto attraverso le fotografie dell'Istituto Luce. Tanti altri aspetti della Rsi, quali la caccia agli ebrei, il collaborazionismo coi tedeschi, l'antiguerriglia, sono stati fino a oggi trascurati dai libri fotografici. Per colmare questa lacuna, Mimmo Franzinelli ha cercato a lungo in archivi italiani e stranieri riportando alla luce la complessa realtà del 1943-45. Grazie a un'ampia selezione fotografica vengono così mostrate le molte sfaccettature della Repubblica sociale e l'operato dei suoi organismi politico-militari, ma anche i bombardamenti angloamericani, alcuni momenti di vita quotidiana degli italiani, la produzione cinematografica dell'epoca. Apre il volume un saggio sul divario esistente tra la realtà della Rsi e l'immagine fornita dal suo apparato propagandistico. Lo chiude una particolareggiata cronologia degli eventi, indispensabile per la contestualizzazione delle vicende comprese tra l'8 settembre 1943 e l'aprile 1945. Quasi 300 fotografie d'epoca, in gran parte inedite, organizzate per temi; 32 pagine a colori con i manifesti della propaganda della Rsi e delle forze d'occupazione germaniche.