La desacralizzazione e la scristianizzazione accompagnano il destino dell'uomo occidentale. La civiltà del capitalismo assoluto, che basa il suo dominio sul nichilismo relativista e sulla volontà di potenza tecnoscientifica, non solo non ha più bisogno di affidarsi, come un tempo, alla religione quale strumento di potere: deve necessariamente promuoverne l'estinzione. Con il suo richiamo al sacro e alla trascendenza, alla dignità dell'uomo come immagine di Dio e all'idea di una verità non utilitaristica, la religione cristiana resta infatti una "potenza frenante" rispetto al nulla della civiltà merciforme e del fanatismo economico. Per Diego Fusaro questo pernicioso processo di desacralizzazione si manifesta al livello più preoccupante nel pontificato di Francesco, e nel suo tentativo di scendere a patti con la civiltà dei consumi, assimilandone il lessico e la visione del mondo - anche se in salsa progressista. Come la perestrojka proposta da Gorbacëv per "ammodernare" il comunismo produsse il suo scioglimento nel capitalismo, così la modernizzazione combattuta da Ratzinger e difesa da Bergoglio non porta il cristianesimo alla sopravvivenza, ma alla dissoluzione. La fine del cristianesimo è un atto d'accusa filosofico contro la fede "liquida" e low cost , e insieme un invito a riscoprire il messaggio di Pasolini, secondo cui «l'opposizione al nuovo potere non può che essere un'opposizione anche di carattere religioso». Per Fusaro, contro lo spirito del tempo presente è irrinunciabile un'alleanza tra la Chiesa resistente al modernismo nichilista e le forze laiche anticapitalistiche che non intendono soggiacere al consumismo imperante.
«Caro Epicuro, è di felicità che oggi vorrei parlarti...». Esordisce così Diego Fusaro nella prima di quasi 90 lettere a Epicuro, l'interlocutore immaginario al quale si rivolge per affrontare altrettanti temi che riguardano il nostro stare al mondo: amicizia, amore, felicità, anima, dono, comunità, tempo, lavoro, dialogo, ideologia, volontà... Perché proprio Epicuro?, si chiederà chi legge. Perché rappresenta la filosofia nella piena aderenza alla vita reale e ai suoi problemi. Non c'è un'età ideale per fare filosofia. Tutti possiamo avere a un certo punto la curiosità - o la necessità - di interrogarci sulla nostra esistenza, sui sentimenti che ci animano e il mondo che ci circonda. Ecco dunque la vera sfida che l'autore ha raccolto scrivendo questo libro: avvicinare alla filosofia i lettori di qualsiasi età in modo chiaro, accessibile, non dottrinale, amichevole. Perché, scrive, «tutti noi disponiamo - talvolta, senza neppure saperlo - di una nostra "filosofia primitiva", un quadro complessivo di senso mediante il quale interpretiamo l'accadere e la nostra esistenza, il rapporto con gli altri e con il reale».