Nel passaggio dal precedente trattato di Apologetica cattolica alla Teologia fondamentale non viene meno l'orizzonte apologetico. Rimossa la tradizionale analysis fidei, la credibilità del cristianesimo muove dall'evento della Rivelazione verso la ragione ed è oggi centrata attorno al mistero pasquale di Gesù Cristo. Degli Atti degli Apostoli si evidenzia l’annuncio di Paolo in tre situazioni vitali: nell'ambiente rurale di Listra, nel centro della cultura greca di Atene e nel processo a Cesarea. Ai tre contesti si accompagnano tre linguaggi diversi di annuncio, in cui emerge un duplice intento apologetico. L'uno interno, per rafforzare la fede dei credenti, e l'altro esterno, per giustificare la fede di fronte alla società civile e alle istituzioni romane, mostrando come la Parola non è all'origine di lacerazioni sociali. L'apologetica è chiamata a difendere la Parola, non un'idea. Essendo la Parola più debole dell’idea, i suoi testimoni sono più deboli dei propagatori di un'idea. Se si tratta quindi di dare ragione della speranza (cf. 1Pt 3,15), forse l'apo-logetica dovrebbe diventare una sin-logetica: non una “polemica contro”, ma un “discorso con”.
Affermando che "Il Logos carne divenne", l'evangelista Giovanni evidenzia il dialogo in-audito tra la V(v)oce di silenzio eloquente e il Logos che si fa carne. L'unicità della V(v)oce che attraversa il LOGOS si pone come istanza di ripensamento e critica del soggetto metafisico classico, in vista di affermare il primato del significato sul significante e di inaugurare una nuova ontologia estetica.
Se per il filosofo ciascuno è trascendenza rispetto all'A(a)ltro, per il teologo chi crede è posto di fronte al Trascendente. Le acque dei due rivoli possono quindi tornare a mescolarsi in un fecondo dialogo, in cui il teologo è il vero a-teo che crede Dio, mentre il filosofo sa Dio. In questa tensione la fede non può che essere agonica, in lotta, quale risposta tesa all'ascolto pensante dell'appello della V(v)oce interiore. La V(v)oce spinge cosi la teologia a uscire dal recinto ecclesiale per seguire la mobilita del Logos cristiano e a svestirlo di quei paramenti linguistici con cui lo ha ri-vestito. Finché la parola del teologo rimane inquieta nello scrutare e chiedere il nome dell’A(a)ltro e si tormenta nell'impossibilita del suo stesso domandare, si può stare tranquilli.