Lo spostamento dell'asse geopolitieo del mondo alimenta negli Stati Uniti la paura che il meccanismo di promozione sociale, alla base dell'"American way of life", si sia inceppato. Quando gli americani hanno paura, tendono a ritirarsi nella propria isola, convinti che le minacce non possano che arrivare dall'esterno. Con la promessa di fare tornare l'America great again, Donald Trump ha interpretato con successo il mito dell'insularità, che affonda le radici nella storia del paese. Per questa ragione, per cercare di capire gli Stati Uniti di oggi, è indispensabile un'analisi geopolitica, che permetta di individuare le cause remote dei fatti recenti e di prospettare possibili scenari futuri. Per gli Stati Uniti, ma anche per il resto del mondo.
La caduta del muro di Berlino, simbolo dell'ordine bipolare sorto dalla seconda guerra mondiale, sembrò inaugurare una stagione in cui sarebbero venute meno molte altre frontiere, insieme alla liberalizzazione e integrazione dei mercati, la creazione di vaste zone di libero scambio, la nascita di una nuova unione politica e monetaria. Solo trent'anni dopo quella tendenza appare invertita e si assiste a una rivalutazione di confini e frontiere, a un'espansione del loro numero e persino alla loro reintroduzione là dove, come in Europa, erano state virtualmente abolite. Un illusorio ritorno di fiamma della sovranità nazionale, un fenomeno controtempo o la rivincita del peso della storia e del potere del luogo? Il fatto che le frontiere siano tornate di attualità, ci avverte l'autore nella sua analisi delle più pericolose linee di faglia che si sono aperte nel mondo contemporaneo, non significa però che esse corrispondano a ciò di cui l'attualità avrebbe bisogno.
Per alcuni il processo di "cattolicizzazione" degli Stati Uniti d'America risale all'epoca di Reagan, per altri a George W. Bush: quel che è certo è che la tendenza alla sovrarappresentazione dei cattolici in seno alla classe dirigente politica americana è diventata evidente durante l'era Obama. Sotto la sua amministrazione più di un terzo dei ministri, il vicepresidente, il capo dello staff, il consigliere sulla sicurezza nazionale, quelli della sicurezza interna, il direttore della CIA, direttore e vicedirettore dell'FBI, il capo di stato maggiore e altri capi dell'esercito saranno stati di religione cattolica. Il libro fa luce in modo chiaro e informato sulla straordinaria crescita dell'influenza della Chiesa nella vita politica americana e sulle sue implicazioni. Presentazione di Sergio Romano.
Nel tormentato scenario globale contemporaneo, il rapporto religione politica è spesso visto in una prospettiva parziale, che dà risalto solo all'islam e a certe sue correnti più fondamentaliste. In realtà, nel corso degli ultimi decenni, tutte le religioni tradizionali sono tornate ad avere un peso sulla scena politica. Su questo ritorno, sono state costruite delle teorie di politica internazionale, come quella dello "scontro tra civiltà". Analizzandone i presupposti e le finalità geopolitiche, il libro intende mostrare come la "guerra santa" non sia che una forma del ruolo politico delle religioni. Nell'attuale crisi della politica come sfera autonoma e dello Stato come fonte della sovranità, l'autore si interroga sulla possibilità che si delinei una "santa alleanza" fra le principali confessioni, volta a riportare una "morale universale" nel cuore della polis.