Uno scrittore, reduce da un periodo di crisi, s'incammina per la città dopo un pomeriggio di lavoro. Attraversa strade e piazze, giunge alla periferia e rientra a casa quando l'oscurità è già calata. Che accada poco, in queste pagine, è pura apparenza: si tratta del resoconto di un viaggio attraverso il mondo intero. Lo scrittore racconta del suo scrivere e del prezzo che per questo deve pagare, della sua vita e del poco tempo che gli rimane dopo i momenti di più intenso lavoro: una leggera pigrizia, il piacere di girovagare, la distaccata percezione delle cose quotidiane e dei particolari più insignificanti. E tutto rientra nello scrivere: assieme a un dubbio costante, nei confronti di se stesso e degli altri. Sotto il sole pomeridiano, alla luce del crepuscolo e poi dell'oscurità notturna, Peter Handke percorre una lunga strada attraverso la città e attraverso se stesso, offrendo al lettore una profonda riflessione su una letteratura che si alimenta nel concreto rapporto con la realtà.
Un giallo che svela i meccanismi del giallo. Ognuna delle dodici parti in cui è diviso "L'ambulante" è organizzata in due momenti: a un preambolo che espone le regole e le possibili varianti del genere, fa seguito la narrazione vera e propria del fatto delittuoso. L'ambulante, testimone di un primo e di un secondo omicidio, è il perno intorno al quale ruota la vicenda raccontata, mentre le situazioni sono quelle classiche del giallo: dalla descrizione di un momento iniziale apparentemente tranquillo, si passa al crimine che ne sconvolge l'ordine, all'inseguimento, alla cattura e all'interrogatorio del colpevole, per arrivare al definitivo ripristino dell'ordine. Il lettore, che ha tutti gli elementi sotto gli occhi, può utilizzarli per decidere a suo piacere di che tipo di storia gialla e di che delitto si tratti.
Prendendo spunto da Goethe, "maestro del dire essenziale", Handke propone in questo poemetto una sua personale ricerca sul concetto di durata, l'entità che fornisce contorno a quanto ha la tendenza a dissolversi. Connessa al ripetersi degli eventi quotidiani, ma al contempo svincolata dalla permanenza in luoghi o itinerari consueti, la sensazione della durata è l'esito della fedeltà a ciò che l'individuo sente come più profondamente proprio: fedeltà al divenire di una persona, fedeltà a "certe piccole cose" che ci accompagnano "in tutti i traslochi", fedeltà infine a determinati luoghi, un lago, una piazza, una sorgente alla periferia di Parigi. La durata tuttavia non esiste a priori, bisogna cercarla, andarle incontro, trovare un punto di mai definitiva, instabile quiete. La poesia - dice Handke - è uno dei migliori supporti in questa ricerca interiore. Ed è dunque naturale che questo libro di meditazione filosofica sia stato scritto in versi, quasi per bussare alla porta di quella condizione sapienziale tipica della poesia di ogni tempo.
«Era il 1966 quando l'autore austriaco, che debuttando a teatro nello stesso anno aveva fatto scalpore con i suoi Insulti al pubblico, esordiva nella narrativa lanciando, a quel medesimo pubblico creativamente maltrattato, la sua sfida, stuzzicandolo con una provocazione, spiazzandolo con una storia costruita - o frantumata - come un rebus, un puzzle, un enigma. Il romanzo rifiuta di lasciarsi riassumere, è composto da episodi che resistono a farsi ricondurre a un insieme coerente, è presentato da un titolo che non concede indizi per una risoluzione né la traccia per una univoca interpretazione. Volendo estrarre il nucleo, l'ossatura di un plot, si rischia di far svanire il fascino perturbante di questo mosaico narrativo. Due ragazzi, due fratelli, giocano un giorno d'estate vicino al fiume e, mentre saltano da una riva all'altra, uno dei due scivola in acqua e annega. Il terzo fratello, il narratore, diviene cieco quel giorno e alla cieca procede attraverso le proprie percezioni e sensazioni sondando l'accaduto. Ma allora chi sono i calabroni? Sono le parole armate di pungiglione? I detentori di un punto di vista sfuggente, messo a fuoco da occhi sfaccettati in vari ocelli e capaci di guardare anche al buio? I volatori su traiettorie apparentemente caotiche e segretamente rispondenti a una linea misteriosa, come questa scrittura? Oppure sono i diretti parenti - nonché i voraci predatori - delle numerose figure animali che popolano il paesaggio rurale della Carinzia meridionale dove Handke è cresciuto, descritti uno dopo l'altro come arcani simboli viventi: la vespa, il tafano, la zanzara, la formica, la tignola...» (Alessandra Iadicicco)
È una mattina d'estate e un temporale improvviso e violento irrompe nel silenzio della camera da letto in cui dorme il famoso attore. La donna che era con lui se ne è andata, lasciandolo solo tra le lenzuola bianche e il ticchettio insistente della pioggia contro il vetro. L'uomo apre di scatto gli occhi e per la prima volta nella sua vita percepisce il peso della solitudine. Da anni non si misura più con il palcoscenico, non sa più raccontare una storia, non riesce più a farsi folgorare da un'emozione. Ma mentre si alza e pigramente inizia ad aggirarsi per l'appartamento della sua amante, capisce che l'unica cosa di cui gli importi è finalmente ritrovare l'emozione di sentirsi vivo. Così esce di casa e inizia a camminare, senza una meta o una destinazione. Attraversa parchi, quartieri multietnici, sottopassi autostradali, vie fatte solo di freddi palazzi di vetro e specchi e scorci invece antichi, popolati da volti segnati dalla storia e dalla vita di una città in perenne trasformazione. E mentre il paesaggio intorno a lui si trasforma, anche l'uomo inizia a sentire la sua anima cambiare. Fino a ritrovare, arrivato in centro, gli occhi della donna che l'ha lasciato la mattina. E scoprire forse, nello specchio delle sue iridi, il riflesso della sua esistenza.
Scritto nel 1974 nello stile scarno del "racconto per film", Falso movimento riprende il tema goethiano degli anni di pellegrinaggio e apprendistato di Wilhelm Meister e lo condensa nel viaggio dallo Schleswig-Holstein alle Alpi Bavaresi del giovane protagonista, Wilhelm. Durante il viaggio, Wilhelm conosce un vecchio suonatore ambulante e la sua piccola compagna di avventure, Mignon; un'attrice, Therese; Bernhard, svizzero e poeta. Nasce così una piccola comunità che dialoga, monologa, a volte semplicemente cammina in silenzio. E in un confronto scarno, essenziale, si precisa la vocazione del giovane protagonista: diventare scrittore. Per Wilhelm, però, ogni contatto con l'esterno è un ostacolo alla scrittura poiché questa, per non essere falsa, deve rigorosamente escludere ogni immagine che non provenga dall'intimo. Ed ecco animarsi il dibattito tra Wilhelm e i compagni di viaggio che gli rimproverano il suo programmatico distacco, interpretandolo come una fuga dalla realtà. In questo confronto, Handke chiarisce la sua posizione; muoversi fuori da una rigorosa dialettica interno-esterno significa fare un movimento falso, che non coglie l'essenza delle cose. Ecco perché dunque anche il viaggio che Wilhelm ha intrapreso è un falso movimento finché resta un viaggio all'esterno e non all'interno di se stessi. E infatti la vocazione di Wilhelm giungerà a realizzarsi nella quiete della Zugspitze, alla fine del viaggio e all'inizio della vita, il movimento vero e tanto atteso.