Accanto alla "Critica della ragione pura" e alla "Critica della ragione pratica", la "Critica della facoltà di giudizio" è il terzo capolavoro dell'impresa critica di Immanuel Kant: non solo il suo compimento, ma anche e soprattutto il suo ripensamento e insieme la sua fondazione. È una rigorosa "critica del gusto" che ha il suo centro nell'universale comunicabilità di esseri razionali e finiti quali sono gli uomini, ed è come tale premessa essenziale dell'intero svolgimento dell'estetica successiva. Ma la riflessione che essa svolge è estetica e mediatamente anche logica, e coinvolge molti altri temi strettamente interconnessi. Sempre su base estetica, vi si delinea infatti, innanzi tutto, una modernissima epistemologia, un esame critico del finalismo che sarebbe proprio della cosiddetta "materia vivente" (del quale Kant dà una versione singolarmente avanzata per i suoi tempi e forse oggi ancora insuperata) e infine una giustificazione e delimitazione del pensare filosofico. Nell'estetica kantiana è quindi ricompreso il problema che la filosofia critica pone a se stessa, in quanto questa non è giustificata dalle condizioni del conoscere che si sforza di esplicitare ed è tuttavia indispensabile per la comprensione dell'esperienza in genere e di quella universale comunicabilità che è il lascito prezioso (e tutt'altro che assimilabile a una "metafisica della ragione") dell'illuminismo kantiano.
Nell'Antropologia Immanuel Kant riordina la mole immensa di materiali di carattere storico e antropologico raccolti nell'arco di un'intera vita. Opera a lungo trascurata, si tratta in realtà di una tappa decisiva di un'epoca che stava per convertire le domande fondamentali della storia della metafisica, della gnoseologia, della morale e della religione in quella che per Kant era ormai diventata la domanda essenziale: Che cos'è l'uomo? Si inaugurava cosí la nostra modernità filosofica, che vedrà nell'uomo non solo l'origine e il fondamento di ogni sapere, ma anche la ragion d'essere e il principio di ogni trasformazione del mondo e di ogni intervento su di esso. L'antropologia kantiana indaga infatti l'uomo come essere sociale trasformato dalle istituzioni, al fine di svilupparne le attitudini, dotarlo di costumi, rafforzarne le facoltà, disciplinarne la volontà, orientarne i desideri e governarne la libertà.
Michel Foucault incontra l'Antropologia di Kant verso la fine degli anni cinquanta, facendone l'oggetto della sua tesi complementare, costituita dalla traduzione del testo kantiano, accompagnata da un lavoro di annotazione e dal testo che funge da Introduzione. Il saggio ci appare oggi la cartografia del terreno che da allora il filosofo francese avrebbe dissodato fino alla morte, contenendo molti dei temi fondamentali della sua riflessione, dal sonno antropologico e la finitudine umana all'archeologia delle scienze umane e alla questione della prossima scomparsa dell'uomo nella configurazione dei saperi e dei poteri che prenderà il nome di biopolitica, agli ultimi interventi sulla questione dell'Illuminismo e il problema del governo e della governamentalità.