I problemi che stavano all’origine della crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008 non sembrano essere stati tutti risolti. Quelli che persistono paiono segnalare una contraddizione più profonda, che ha a che fare con il modello di sviluppo connesso all’ideologia economica neoliberista, i cui principi non sono stati superati. Accumulazione e sviluppo sembrano essere entrati in conflitto aperto. Le possibili vie d’uscita non vengono percorse a causa della radicale ignoranza con cui i poteri pubblici affrontano le questioni economiche, che li rende incapaci di immaginare un nuovo ruolo dello Stato e una politica economica differente. D’altra parte, anche le scorciatoie che conducono a una chiusura mercantilistica sono vicoli ciechi. In mezzo, lo spazio per una scienza economica che non rinuncia a voler cambiare le cose.
Paolo Leon
Professore emerito di Economia Pubblica all’Università di Roma Tre, ha studiato a Roma e a Cambridge, con R.F. Kahn e Federico Caffè, e ha insegnato in numerosi atenei italiani. Ha lavorato come economista all’Eni, con Giorgio Fuà e Giorgio Ruffolo, alla Banca Mondiale e all’Italconsult. È stato vicepresidente dell’Enea e presidente dell’Agenzia per il controllo dei servizi pubblici locali di Roma, consulente dell’Unione Europea, di vari governi nei Paesi in via di sviluppo e, in Italia, dei Ministeri del Bilancio, del Lavoro, dell’Ambiente e dei Beni Culturali, nonché di molti enti locali. Ha cofondato i centri di ricerca Crel, Arpes e Cles ed è perito dell’Avvocatura dello Stato per la valutazione del danno ambientale. Dirige la rivista «Economia della Cultura» e scrive su riviste e quotidiani. Ha pubblicato con Boringhieri (Ipotesi sullo sviluppo dell’economia capitalistica, 1963), Johns Hopkins (Structural Change and Growth in Capitalism, 1967), Marsilio (Sviluppo economico italiano e forza lavoro con M. Marocchi, 1970 e Sviluppo e conflitto tra economie capitalistiche, 1973), Feltrinelli (L’economia della domanda effettiva, 1981), Franco Angeli (La domanda di lavoro e l’occupazione giovanile con G. Vazzoler, 1982) e Giappichelli (Stato, mercato e collettività, 2003, 2007).
Più di cinquantamila civili e militari sottoposti per mesi (alcuni per due interi anni) a una brutale limitazione della libertà, concentrati in campi di internamento insufficienti nelle strutture sanitarie, nell'alimentazione, nella tutela della dignità umana. Questa la realtà dei "campi dei vinti", quei campi di concentramento realizzati in Italia fra l'estate del 1943 e la primavera del 1946 nei quali furono rinchiusi dagli Alleati e senza processo decine di migliaia di fascisti o presunti tali. Per la prima volta di questo tema si parla a livello scientifico, sulla base di documentazione archivistica italiana e britannica. Da Padula, in provincia di Salerno, a Collescipoli (Terni), da Coltano (Pisa) a Laterina (Arezzo), da Miramare (Rimini) a Taranto, Paolo Leone ha tracciato una sorta di geografia del reticolato, senza dimenticare le decine di campi di transito dove venivano ammassati centinaia di prigionieri destinati, nel migliore dei casi, ad altri campi definitivi, ovvero agli improvvisati tribunali del popolo, che provvedevano a esecuzioni sommarie. Un saggio ampio e originale che fa luce sulle normative giuridiche e sulla vita quotidiana nei campi di internamento, sulle violenze cui furono sottoposti tanti italiani rei di avere combattuto dalla parte dei "vinti", che divennero così la base di consenso del neofascismo italiano.