Mosè Maimonide, filosofo, medico e giurista ebreo, scrisse "La guida dei perplessi" verso il 1180-1190. Il presente testo non è solo un'opera significativa della filosofia ebraica, ma anche uno dei più importanti testi dell'esegesi biblica medievale. L'opera nasce da un tentativo di interpretazione della tradizione religiosa, così come si trova nella Bibbia e nel Talmud, in chiave filosofica, nello sforzo di conciliare l'ebraismo con Aristotele, la fede con la ragione.
DESCRIZIONE: Mosè Maimonide scrisse il Trattato sulla resurrezione dei morti nel 1191 per rispondere ad alcuni critici che avevano insinuato una sua non credenza nella resurrezione, tema sul quale Maimonide si era già soffermato nell’Introduzione al x capitolo di Sanhedrin (anch'esso qui tradotto).
Opponendosi all'opinione diffusa nella cultura rabbinica, che identificava la resurrezione con il ritorno del Messia, Maimonide opera, in primo luogo, una netta distinzione tra la vita del mondo a venire, che pertiene esclusivamente alle anime, e la vita del mondo della resurrezione, che riguarda i corpi. In secondo luogo, pone una differenza tra il mondo della resurrezione e l'era messianica, stabilendo che la resurrezione dei morti non è legata necessariamente alla venuta del Messia né ai prodigi che questi opererà. La resurrezione dei morti non dipenderà dal Messia, ma unicamente dalla volontà imperscrutabile di Dio, che in qualunque momento potrà suscitarla o impedire che si manifesti. Per Maimonide la resurrezione non rappresenta la mèta ultima: essa è, invece, il mondo a venire, dimensione spirituale ed eterna in cui confluiranno le anime dei beati, una volta spogliatesi per la seconda volta dei corpi.
Un classico del pensiero che invita ad andare al di là delle opinioni correnti su un principio cardine dell'ebraismo e delle altre religioni monoteistiche.
COMMENTO: Del grande pensatore ebraico medievale (1135-1204), la prima traduzione italiana dei saggi sulla natura e il fine dell'anima, a cura del suo massimo studioso, Giuseppe Laras, già rabbino capo a Milano.
L'ebraismo, rifiutando con decisione l'idea di fato, riconosce all'uomo la possibilità di plasmare il proprio futuro, abbandonando il peccato e facendo ritorno a Dio. Teshuvà, che in ebraico significa appunto "ritorno", nel linguaggio rabbinico indica pentimento, rifiuto del peccato, confessione della colpa e richiesta di perdono alla parte lesa, e rappresenta l'unico mezzo per alterare il rapporto obbligato tra peccato e punizione. In questo breve trattato, articolato in dieci capitoli, Maimonide espone le norme che aiutano l'uomo a raggiungere il pentimento, delineando autentici "percorsi di ritorno".
Mosè Maimonide, filosofo, medico e giurista ebreo, scrisse "La guida dei perplessi" verso il 1180-1190. Il presente testo non è solo un'opera significativa della filosofia ebraica, ma anche uno dei più importanti testi dell'esegesi biblica medievale. L'opera nasce da un tentativo di interpretazione della tradizione religiosa, così come si trova nella Bibbia e nel Talmud, in chiave filosofica, nello sforzo di conciliare l'ebraismo con Aristotele, la fede con la ragione.