Nel 1933 Osip Mandel'stam, poeta in disgrazia, «emigrato interno» in procinto di diventare carne da lager, «arde di Dante», e studia l'italiano servendosi della Divina Commedia. In Crimea durante la primavera scrive "Conversazione su Dante", ma quando tenta di pubblicarlo incontra una serie di rifiuti. Di certo il saggio non ha nulla a che vedere con il realismo socialista, né corrisponde al canone degli studi danteschi. Affrancando il «sommo poeta» italiano da secoli di retorica scolastica, Mandel'stam ragiona su ciò che presiede alla nascita della sua poesia: in primo luogo, la metamorfosi. Tutto, nella Commedia, è in movimento, e per il vero lettore, «esecutore creativo», leggere Dante significa rifiutarsi di restare incatenati a un presente che a sua volta è saldamente ancorato al passato: «Pronunciando la parola "sole" compiamo un lunghissimo viaggio al quale siamo talmente abituati che ormai viaggiamo dormendo. La poesia... ci sveglia di soprassalto a metà parola - parola che ci sembra molto più lunga di quanto credessimo -, e in quel momento ricordiamo che parlare è sempre essere in cammino». Unico poiché sembra comprendere tutti i linguaggi, quello di Dante evoca il mondo con irripetibile potenza, e la Conversazione di Mandel'stam, tripudio di luminose intuizioni, costrutti arditi e metafore inusitate (biologiche, musicali, meteorologiche, tessili), in una prosa continuamente attraversata da squarci di poesia, scorge e mette in luce i tratti più moderni, addirittura sperimentali, del suo poetare.
Allo scandaglio del testo della Divina Commedia e della figura poetica di Dante si uniscono le riflessioni sulla poesia, la scrittura, la fruizione e l'interpretazione. Stile e tono di questa "conversazione" sono lontani da quelli della lezione accademica o della monografia seriosa; si tratta piuttosto, come afferma Mandel'stam stesso "di immaginare un dotto giardiniere che accompagni gli ospiti per la sua tenuta e dia loro spiegazioni sostando tra le aiuole, oppure uno zoologo dilettante che accolga vecchi amici nel suo allevamento". La nuova traduzione di questo saggio del 1933 è condotta sul testo definitivo, pubblicato a Mosca nel 1990.