"Preghiamo anche per i perfidi giudei", così recita nel venerdì santo il Missale romanum di Pio V, pubblicato nel 1570, sintetizzando l'immagine degli ebrei nella liturgia latina. Stanno qui le radici di uno stereotipo antisemita che le traduzioni in volgare dei testi liturgici introiettano nella mentalità cattolica. Ma dal tardo Settecento la cultura cattolica comincia a interrogarsi su questo "insegnamento del disprezzo" trasmesso dal culto pubblico e ufficiale della chiesa. Gli eventi culminati nella Shoah avviano poi un decisivo confronto con la storia, portando a un riesame del rapporto con gli ebrei. Lo testimoniano tormentati rifacimenti della preghiera del venerdì santo da Giovanni XXIII fino ai nostri giorni.
La chiesa cattolica sembra essere oggi l'istituzione planetaria che con più forza esige il rispetto dei diritti umani. Un ruolo che le viene riconosciuto soprattutto nel momento in cui si invoca una legittimazione morale per promuovere interventi bellici laddove si verificano violazioni dei diritti umani; al contempo se ne critica l'arretratezza quando si richiama agli stessi principi nel rifiutare le richieste di autodeterminazione dei singoli in campo matrimoniale, bio-genetico o sessuale. Il volume illustra le ragioni storiche di queste contraddizioni e il tormentato cammino che ha portato il cattolicesimo dalla radicale contrapposizione alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789 alla cauta accettazione della Dichiarazione universale delle Nazioni Unite del 1948, fino al contrastato ritorno al primato della legge naturale con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.