Fra i filosofi del Novecento, Michel Foucault è quello che più di altri ha posto in discussione il rapporto tra medicina, economia e potere. Nel 1974 - l'«anno ippocratico di Michel Foucault», come lo definisce Paolo Napoli nella sua introduzione - il pensatore francese, nell'ambito di un ciclo di conferenze tenute a Rio de Janeiro, delineò le tappe della nascita della medicina sociale, partendo da un interrogativo: perché, e da quale momento, la medicina si è trasformata in una strategia biopolitica? La salute degli individui diventa oggetto del potere dalla seconda metà del XVIII secolo, allorché le esigenze del nascente capitalismo pongono il corpo - inteso come forza lavoro produttiva - al centro di un paradigma politico basato sulla medicalizzazione della società. Partendo dall'assunto che il controllo della società sugli individui avviene anche attraverso il corpo, Foucault in quelle conferenze inizia a tratteggiare la nozione di «biopolitica», oggi molto abusata, ponendo degli interrogativi quanto mai attuali: qual è il rapporto tra medicina e potere? In che modo i dispositivi di potere/sapere devono modellare il corpo per ottenere un'efficace razionalizzazione della forza produttiva della popolazione?
Mai come oggi l'umanità intera ha condiviso negli stessi istanti la medesima tragedia, a prescindere da condizioni sociali e geopolitiche. Il virus si diffonde ovunque, come la rete. È potente, come la rete. Ma viaggia solo grazie a noi, e grazie a noi lascia tracce di sé proprio sulla rete. I miliardi di dati e informazioni pulviscolari che seminiamo nel web, se raccolti, interpretati e calcolati, possono essere cruciali per anticipare le mosse del virus, o per lo meno per tenere il suo passo e non arrancare. Il nodo è questo, e non riguarda solo la lotta al virus: il vero potere è oggi nelle mani di chi cattura e gestisce le nostre tracce online, e se si tratta dei tre o quattro colossi del web la democrazia latita. La pandemia, oltre al dramma delle morti, lancia un allarme più profondo: se vogliamo difendere la democrazia, è urgente riconsegnare il potere al pubblico, affidare la gestione dei nostri dati alle istituzioni, e parallelamente accrescere le nostre competenze digitali. Assumere un atteggiamento critico e consapevole nei confronti dei numeri che recepiamo passivamente e degli strumenti informatici che adoperiamo con disinvoltura: è questa l'unica arma che abbiamo per smascherarne la fasulla neutralità e riacquistare la nostra voce. Con un saggio di Andrea Crisanti. Prefazione Enrica Amaturo.
Un libro scritto nel web per un giornalismo che è sempre più web. Costruito per mesi sul sito giornalisminellarete.donzelli.it con la collaborazione di decine di operatori dell'informazione e giovani studenti di comunicazione, il nuovo libro di Michele Mezza acrobaticamente si cimenta in uno spericolato surfing fra le tempestose onde del mare giornalismo. Sarà Facebook l'edicola del mondo? Google automatizzerà le notizie? Il libro, integrando l'approccio radicale dell'autore con l'esperienza di un testimonial del sistema giornalistico italiano come Giulio Anselmi, già grande direttore di giornali e attualmente presidente dell'Ansa, propone elementi per orientarsi nel labirinto digitale azzardando risposte di fondo e proponendo approcci analitici per il nuovo che verrà. L'innovazione viene raccontata con il linguaggio dell'innovazione: filmati, link, testimonianze, visibili sulla carta con i QR code. Il ragionamento procede mostrando le esperienze concrete di grandi giornali, come la ristrutturazione del "Washington Post" o la digitalizzazione del "Guardian", e confrontandole con le strategie di alcuni dei più prestigiosi testimoni della professione e le dinamiche di realtà emergenti, come i nuovi portali di giornalismo investigativo, o i siti news gestiti da software.
Nel 1945 riprende in Italia l'emigrazione di massa. I flussi migratori si dirigono principalmente verso i paesi europei, in un continente ancora sconvolto dai danni della guerra ma già proiettato verso la ricostruzione. Il bisogno di manodopera a basso costo in paesi come Francia, Belgio, Svizzera, Gran Bretagna e Germania si sposa con l'esigenza italiana di combattere la disoccupazione. Da questo intreccio nascono una nuova politica migratoria e una nuova stagione di emigrazione. Un'emigrazione prevalentemente temporanea, segnata più che in passato da una legislazione rigida e disseminata di vincoli, che rendono la mobilità delle persone sempre più difficile e la loro permanenza all'estero sempre più precaria. Quali sono le scelte delle classi dirigenti italiane e le posizioni dei partiti politici? Da dove partono e dove si dirigono i nuovi emigranti? Che cosa incontrano quando varcano le frontiere? Che cosa è, in definitiva, una politica migratoria? Perché gli anni del secondo dopoguerra sono così importanti per capire gli sviluppi successivi delle migrazioni internazionali, fino ai nostri giorni? Il libro risponde a queste domande facendo luce sugli accordi bilaterali firmati dall'Italia con i paesi europei e svelando la rete organizzativa della nuova emigrazione di massa in Europa. Un capitolo poco indagato della storia dell'Italia contemporanea, analizzato a partire dalle sue origini politiche ed economiche.
L'obiettivo dichiarato di queste Lezioni - tenute da Foucault a Berkeley nel 1983 - è quello di ricostruire, attraverso la problematizzazione del concetto di verità, "una genealogia dell'atteggiamento critico nella filosofia occidentale". Il metodo seguito è quello dell'analisi filologica. Protagonista di questo seminario foucaultiano è infatti una parola, il termine "parresia", che connota, nella lingua greca, l'attività di colui che dice la verità. Seguendone il percorso nelle tragedie di Euripide, nei testi "socratici" di Platone, e via via in quelli di Aristotele e Plutarco, Epitteto e Galeno, Foucault restituisce a pieno le tensioni etiche della società greca, e insieme propone la questione centrale del suo metodo di indagine.