Si ride e si piange molto il sabato pomeriggio in casa di Suzy dove le sue amiche, che come lei lavorano in una delle ultime fabbriche tessili del nord della Francia, si incontrano per acconciarsi i capelli e scambiarsi confidenze nell’atmosfera ironica e complice delle riunioni femminili. Si ride dei pettegolezzi, si piange per gli amori infelici, i lutti familiari, gli incidenti sul lavoro che ogni tanto colpiscono una del gruppo. E si lotta anche, per migliorare le condizioni di lavoro, per scongiurare la chiusura dell’azienda. Intorno alle donne si muove il gruppo degli uomini: Ricco, l’amante italiano che Suzy, dopo la separazione dal marito, ha accolto in casa imponendone la presenza alla figlia Nina, Arnold, grande amico della ragazza, Steph, di cui lei non ricambia l’amore, e soprattutto Delplat, l’odiato e temuto padrone della fabbrica. Proprio Nina è la voce narrante che descrive se stessa e quel mondo con una lucidità spietata e disarmante. Tutto si svolge tra un venerdì e il lunedì successivo, quando si presenterà al negozio dove è stata appena assunta come apprendista. In quel breve intervallo accadono eventi drammatici che per lei chiudono definitivamente la fase dell’adolescenza. Uscita per cercare un regalo di compleanno per Suzy, Nina incontra Delplat, cliente abituale del negozio dove lavora. L’uomo cerca di attirarla a casa sua con una vaga promessa di denaro; la ragazza intuisce il suo lubrico scopo ma non può rifiutare l’invito perché teme qualche ritorsione contro sua madre in fabbrica. Si reca in effetti a casa di Delplat, ma dopo un’ora sta di nuovo vagando per le strade: ricorda solo il momento in cui vi è entrata e sembra incapace di ricostruire il resto. Si intuisce solo che deve essere accaduto qualcosa. Frattanto nella fabbrica la situazione precipita: alla minaccia di chiusura, le operaie inscenano una rivolta che degenera in tragedia.
Corruzione, regressione della politica, terrorismo: è il filo logico di questi racconti, una riflessione dolente sulla società civile contemporanea osservata dall’angolo di visuale della propria classe dirigente. Dai sogni giovanili, spesso rivoluzionari o comunque segnati dalla volontà del cambiamento, fino al rapporto troppo compromissorio col futuro e, da ultimo, la delusione per i traguardi non raggiunti e la fragilità provocata dal disatteso confronto tra etica pubblica ed etica privata. Enrico Micheli prosegue con tenacia la ricostruzione narrativa della storia italiana recente. Il racconto che dà il titolo al volume è una educazione sentimentale; Achille, un giovane studente borghese, poi intellettuale che passa dalla «rivoluzione» a quello che oggi definiremmo «riformismo», fu in quegli anni trascinato nella piena del Sessantotto; ne vive dall’interno le contraddizioni come una tempesta che trascina amori, scontri, discussioni e provoca pericolose fughe in avanti. Dopo molti anni, un casuale incontro con una compagna che era stata per lui un amore irrisolto, gli fa rivivere il passato. Ormai però Achille è un uomo tranquillo, psicologicamente lontano dai clamori in fondo vacui delle vicende di allora, che gli ritornano spente come un film già visto. Gli altri racconti sono storie più brevi, che aprono squarci dai riflessi violacei sull’involuzione civile del paese di oggi.
"Si dice che siano i sogni a far crescere i bambini. Non solo quelli del resto. Di certo i miti, cristallizzazione dei sogni collettivi, permettono a una società di essere quel che è". Michel Maffesoli, il fondatore della "sociologia del quotidiano", il teorico del neo-tribalismo, asserisce un nuovo modo di guardare ai lati banali, locali, semplici di quella che una volta si chiamava cultura di massa: "lo sviluppo tecnologico sta dando vita a una fruttuosa sinergia, con il ritorno all'arcaico, con l'esplosione dell'immaginario". Vale a dire che, attraverso la Rete, la comunicazione globale entro cui il cittadino attuale annega senza fondo, riaffiorano le icone dal remoto sostrato del tempo, gli idoli, le immagini archetipiche, e tornano nel loro ruolo riformulato di tenere assieme orizzontalmente i gruppi sociali (le tribù), scacciando tutte le narrazioni razionali con cui la modernità pretendeva sostituirli. Si torna dunque a scrutare i Miti d'oggi, in questo carosello, in questa sarabanda barocca di figure simboliche fluttuanti dalla televisione, da internet, dalle persone virtuali dell'informazione spettacolo. Ma come il Novecento lo faceva per demistificarli, per raschiare la vernice a mostrare dietro il vuoto, qui s'intende svelarne il pieno: i miti oggi, spiega Maffesoli, senza essere "lumi", sono "scintillamenti" che indicano un cammino, individuale e collettivo. Anche della "parte in ombra dell'essere umano". Verso il reincanto del mondo.
Un uomo sulla soglia dei settant'anni confessa il proprio stato d'animo di fronte al mondo. Lo fa in soliloqui mentre percorre ossessivamente, quasi in un incubo di ripetizione, le strade della sua città, diventata - com'è ricorrente rappresentazione della città della narrativa di Ferriera - una sorta di non luogo imprevedibile e carico di eventi casuali e inspiegabili, comici o disperati, affettuosi o violenti, indifferentemente. Il suo andare è cadenzato da ripetute cadute, un fastidioso continuo inciampare dei passi incerti che fa irrompere il protagonista, osservatore soggettivo, perentoriamente dentro i fatti cui assiste, trasformandolo da narratore a personaggio narrato. I suoi sono pensieri brevi, interrogano dubbiosamente su fatti e situazioni comuni, oppure narrano insignificanti avvenimenti che improvvisamente virano nell'emblematico: in parte considerazioni di un'ispida e incerta saggezza, in parte espressioni di smarrimento infantile, in parte disperate nostalgie e rimproveri al passare del tempo o scintille di speranza nel futuro; in parte sogni, visioni, forse deliri. E in ognuno di essi si sente riecheggiare in effetti la recita dell'assurdo di un grande uomo di teatro, come in un ultimo nastro.
Anne, da tempo non ha notizie di Gyl a cui è stata a lungo legata; decide di andarlo a cercare in Siberia là dove se ne sono perse le tracce. Viaggiando sulla Transiberiana si interroga a proposito dell'uomo che, invece di rinunziare alle utopie alle quali avevano creduto insieme, se ne è andato per costruire un nuovo mondo ideale. Mentre il treno corre lungo la campagna russa Anne osserva ciò che la circonda, ma soprattutto lascia vagabondare i suoi pensieri che ritornano sempre a Clémence, una anziana modista che abita nel suo palazzo e di cui è diventata amica. Due volte la settimana Anne scende la rampa di scale che le divide per tenerle compagnia sul canapé rosso e leggerle storie di donne che entrambe amano per la loro insolenza, il coraggio, talvolta l'allegra spavalderia, spesso il loro tragico destino. Olympe de Gouges, l'autrice della "Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina", o Marion du Faouët che alla testa di una banda di briganti rubava ai ricchi per dare ai poveri o Milena Jesenská che traversava a nuoto la gelida Moldava per non mancare all'appuntamento con il suo amante. Sono storie che si intrecciano con i racconti della vita di Clémence: la Parigi degli anni Quaranta, la Resistenza, un amore travolto dalla guerra. Nello specchio che Clémence le tende dal suo canapé rosso Anne trova i motivi che l'hanno trascinata così lontano, ma anche le ragioni per continuare a vivere.