Il 17 e il 24 novembre del 1980, Michel Foucault pronunciò al Dartmouth College, nel New Hampshire, due conferenze, ancora inedite in Francia, con il titolo "Subjectivity and Truth" e "Christianity and Confession". La prima conferenza costituisce un tentativo di collocare in una prospettiva storica il peso e la specifica morfologia che caratterizzarono l'esame di sé e la confessione a partire dall'epoca greca ed ellenistica. Nella seconda, dopo aver riassunto le differenze tra le varie forme di rapporto a sé nell'antichità greco-romana e le due diverse "tentazioni" del cristianesimo (quella "ontologica" e quella "epistemologica"), Foucault si chiede se per noi oggi non sarebbe meglio fare piazza pulita del problema della scoperta e dell'interpretazione del sé, per aprire così lo spazio a una "politica di noi stessi". Una conclusione che richiama ciò che Foucault aveva già detto nella prima conferenza, alludendo a una fondamentale dimensione "politica" connessa al suo progetto di una genealogia del soggetto occidentale. Il volume è a cura di "mf/materiali foucaultiani".
L'antologia di scritti, interviste e corsi, curata da Vincenzo Sorrentino, si propone di costituire un primo accostamento al progetto filosofico di Foucault. Il volume si articola in tre sezioni: una su follia e linguaggio, sistema, discorso; un'altra su società disciplinare, bio-potere, guerra e razzismo, medicalizzazione indefinita; un'altra ancora su tecnologie del sé e sessualità, critica e lotta, libertà e identità.
Con questo volume s’intende mettere a disposizione del lettore italiano una parte poco conosciuta dell’opera di Michel Foucault, quella scritta per giornali e riviste e che Foucault stesso ha definito il suo “giornalismo filosofico”.
I testi qui presentati spaziano dal problema della vita e del vivente, a quello della nascita del biopotere e degli effetti della medicalizzazione della società; dalla questione del crimine e della punizione a quella della società disciplinare e dei dispositivi di controllo e sicurezza; dai temi filosofici della verità e dell’identità al problema della sessualità e della soggettività che si forma o si sfalda nel punto d’intersezione e di conflitto tra desiderio e piacere.
A questi interrogativi si intreccia sempre la domanda che sin dall’inizio ha accompagnato il lavoro di Foucault, a volte esplicitamente, altre volte in segreto: quella sul ruolo e sulla funzione dell’intellettuale.
A cura di Mauro Bertani e Valeria Zini
GLI AUTORI
MICHEL FOUCAULT (Poitiers, 1926 – Parigi, 1984) è stato uno dei grandi pensatori del XX secolo. Tra i suoi testi più importanti ricordiamo: Storia della follia nell'età classica (Milano, 1963); Le parole e le cose (Milano, 1967); L'ordine del discorso (Torino, 1972); e i tre volumi sulla Storia della sessualità: La volontà di sapere (Milano 1978), L'uso dei piaceri (Milano 1984), La cura di sé (Milano 1985).
Sulle basi di numerose fonti teologiche, giuridiche e mediche, Foucault affronta il problema di quegli individui "pericolosi" che, nel corso del XIX secolo, sono stati definiti "anormali". Definisce le tre figure principali dell'anormalità: il mostro umano, antica nozione cui quadro di riferimento erano le leggi della natura e le norme della società; l'individuo da correggere, di cui si fanno carico i nuovi dispositivi di disciplinamento del corpo; l'onanista, che è oggetto, già dal XVIII secolo, di una campagna indirizzata al controllo della famiglia moderna. Per Foucault l'individuo anormale deriva dell'eccezione giuridico-naturale del mostro, dalla moltitudine degli incorreggibili e dal segreto delle sessualità infantili.
Nel 1982, Michel Foucault dedica il suo corso al Collège de France alla "cura di sé". In senso stretto per Foucault si tratta di passare in rassegna le grandi scuole filosofiche dell'antichità, mettendo in luce l'importanza che il pensiero greco prima, e latino poi, assegnavano al principio di "avere cura di se stessi", di occuparsi attivamente della propria crescita spirituale e di "allenarsi" ad affrontare gli eventi futuri senza lasciarsi intimorire e senza lasciarsi trascinare dalle emozioni che tali eventi avrebbero potuto suscitare. Ma l'intento di Foucault non è circoscritto alla ricostruzione storico filosofica: ciò che gli preme mettere in luce è la precarietà dei modi attraverso cui avviene, all'opposto, la formazione dell'uomo moderno.
"Si imprigiona chi ruba, si imprigiona chi violenta, si imprigiona anche chi uccide. Da dove viene questa strana pratica, e la singolare pretesa di rinchiudere per correggere, avanzata dai codici moderni? Forse una vecchia eredità delle segrete medievali? Una nuova tecnologia, piuttosto: la messa a punto tra il XVI e il XIX secolo, di tutto un insieme di procedure per incasellare, controllare, misurare, addestrare gli individui, per renderli docili e utili nello stesso tempo. Sorveglianza, esercizio, manovre, annotazioni, file e posti, classificazioni, esami, registrazioni. Un sistema per assoggettare i corpi, per dominare le molteplicità umane e manipolare le loro forze si era sviluppato nel corso dei secoli classici: la disciplina."
Quest'opera è considerata da molti il capolavoro di Michel de Certeau. Essa racconta l'irruzione nella storia della parola mistica come esperienza di marginalità, esclusione e rinuncia. Un'esperienza che si svolge in luoghi in cui perdersi, attraverso parole o scene di enunciazione che sperimentano nuovi linguaggi: da Eckhart a Silesius, da Teresa d'Avila a Giovanni della Croce o Surin, tutto un corteo luminoso di donne, folli, illetterati, eremiti oscilla fatalmente tra obbedienza e rivolta, ortodossia ed eresia, sapere istituito e nuovi ordini del conoscere. Critica letteraria e psicoanalisi, semiotica e filologia, analisi sociale e indagine politica, contribuiscono a disegnare un percorso che abbandona (ma non trascura) i confini della teologia e si lascia contaminare da strumenti critici apparentemente estranei o inadeguati. Ed è proprio la sorvegliata e rigorosa contaminazione tra discipline a costituire il tratto caratteristico dell'opera dello storico, come pure il suo lascito fecondo: assumere l'"altrove" come griglia ermeneutica o il "desiderio" come impossibile che muove la storia, significa mettere in discussione ogni teoria o pragmatica della comunicazione e lasciare che a parlare sia un linguaggio perforato, interdetto, opaco, sempre bisognoso di traduzione ma anche sempre più ricco di qualunque sistema.
Un'antologia di testi tratti dal capolavoro di Montaigne, "I Saggi". Un volume arguto, quasi da comodino, che ha il pregio di avvicinare i lettori al pensiero del grande filosofo francese.
In questo saggio, che Montaigne ha aggiunto agli altri "Essais" solo pochi anni prima della sua repentina scomparsa, nel 1592, il filosofo saggia l'inanità dei grandi racconti filosofici su Dio, il mondo, l'uomo, la politica - racconti che non solo non hanno evitato le guerre fratricide e insensate, ma spesso le hanno addirittura provocate - e si rivolge a ciò che davvero siamo in grado di sperimentare: l'io, il "moi".
Composta sotto la protezione di Margherita di Valois, dama tra le più colte, ambigue e stravaganti del Rinascimento francese, questa "Apologia di Raymond Sebond" costituisce il capitolo più organico e ampio dei "Saggi" di Montaigne. Col pretesto di difendere la "Teologia naturale" del tolosano Raymond Sebond dalle numerose accuse che le erano state rivolte, Montaigne concepisce un disegno apologetico della fede cristiana largamente estraneo agli schemi tradizionali e dal quale traspare il ritratto culturale della propria epoca in cui nuove cosmologie, nuovi continenti, nuovi popoli, nuove confessioni religiose, nuove immagini di uomo e di ragione umana irrompono sulla scena storica.