La nostra certezza di vivere in comunità "sicure" si è dissolta per sempre, il mondo è lacerato dalle guerre e ognuna di queste vede masse di profughi in fuga da terre martoriate. Quarant'anni fa, in un altro contesto storico, uno dei maggiori scienziati della politica del Novecento rifletteva sulle "regolarità" del fenomeno bellico. Le sue parole, lucide e profetiche, possono aiutarci a interpretare anche le trasformazioni presenti, ad afferrarne la logica e persino a prevederne gli sviluppi. Anche per noi si è aperta un'epoca che ci spinge a fare i conti con la realtà dei fatti, nella quale non sapere respingere il fascino decadente dell'utopia, per accettare quello aspro delle cose come sono, potrebbe voler dire escludersi dal potere e dalla storia.
C'è una regolarità della guerra, intesa come "assenza di limiti circa l'uso dei mezzi atti a distruggere o asservire il nemico"? Un interrogativo che guida Gianfranco Miglio - in questo testo dove emerge la sua lezione di maestro del realismo politico - nella ricostruzione delle forme in cui la guerra è stata pensata e praticata: da quella civile allo scontro tra nazioni e Stati. Conflitti che, dopo il tempo della distruzione, hanno messo capo a nuove forme di vita politica. Una prospettiva, nota Cacciari nel suo saggio, che sembra essere venuta meno dopo la fine della "guerra fredda": la globalizzazione, le migrazioni e il terrorismo di matrice religiosa aprono un orizzonte ove la guerra appare "senza fine" perché sono assenti soggetti in grado di trarre da essa una sintesi politica, un modo di convivenza segnato dalla pace.
"Le ricerche sull'origine e sulle mutazioni della parola 'Stato' - cioè del vocabolo con il quale si indica correntemente il sistema politico vigente nel mondo 'moderno' - sebbene da parecchio tempo in corso, sono ancora lontane dal poter essere considerate approfondite in modo esauriente".Sono le righe con le quali si apre questo saggio del 1981, ritenuto un classico della scienza della politica. In pagine di cristallino rigore scientifico e ispirate alla tradizione del più disincantato realismo, è tracciata la parabola del concetto che segna la storia della modernità: nelle sue trasformazioni interne, lo Stato appare a Miglio come "il capolavoro del pensiero occidentale". Un esito in cui si intravedono anche i segni di un possibile declino, al punto che l'autore ipotizza la "ricostituzione di uno 'Stato per ceti'". Una diagnosi che Pierangelo Schiera, nel saggio introduttivo, discute ricostruendo il profilo intellettuale del suo maestro.