A chi l'ha definito un rinnegato, Mughini ha risposto con una vita ad alto tasso d'indipendenza - "la più fiera che mi ritrovo" - e lontana da qualsivoglia rigidità ideologica: lui che ha vissuto per intero la stagione dell'impegno intellettuale e militante a sinistra ma che non ha mai avuto altra tessera se non quella dell'Atac; lui che ha tratto il pane dal lavorare nei giornali ma che in tutti i giornali in cui ha lavorato non si è nemmeno tolto l'impermeabile, "come uno che entra in una casa da cui sa che andrà via subito"; lui che ha fatto la tv popolare però mai in trent'anni si è arruffianato il gusto popolare nella sua accezione televisivamente più piaciona - "sarebbe stato un barare con me stesso, me ne sarei vergognato"; e guai a chiamarlo "opinionista", lui che in tv è solo un ospite, che chiacchiera con gli altri ospiti sull'uno o sull'altro tema. Senza rispettare la cronologia, com'è diritto di chi scrive e rammemora, Giampiero Mughini narra i ricordi di una vita e insieme le vicende politiche e sociali del nostro paese.
Un libro in onore dei libri, quelli di carta. Libri come cavalieri, che vanno alla carica, disperata e inane, contro il fuoco battente dell'artiglieria digitale. Fragili creature da pochi centimetri di altezza e pochi centimetri di larghezza, ma che non per questo hanno un'aria meno imponente nel loro osare contro un nemico ben equipaggiato. Giampiero Mughini ha scelto alcuni dei libri a lui più cari fra quelli della sua collezione dedicata al Novecento italiano, non necessariamente i più famosi e riconosciuti, anzi spesso i più obliqui, azzardati e trascurati dal grande pubblico. Quei libri, che Mughini mette in vetrina come una mostra o racconta come in una telecronaca sportiva, sono descritti minuziosamente nella veste e nelle caratteristiche che ebbero quando apparvero in prima edizione, perché quello è il momento in cui un libro arrischia la sua avventura nel mondo. Tutti insieme compongono una biblioteca ''ideale'' non nel senso oggettivo del termine, bensì arbitraria e soggettiva e talvolta spudorata, modellata dai capricci della memoria e a volte dalle sue malizie.
Per la generazione di Giampiero Mughini, che ha vissuto in pieno gli anni della contestazione, i libri non erano semplicemente libri: erano l'obiettivo e l'emblema della vita stessa. E nelle biblioteche di quei ragazzi, pareti coperte di bianchi dorsi Einaudi o piccole raccolte di testi fondamentali, era racchiusa la loro identità. Così è stato per Mughini, che per i libri ha sempre nutrito una passione smodata e che ora rifiuta il sapere liquido che scorre incessantemente sui nostri schermi. Come può una fruizione bulimica di grosse quantità di nozioni sostituire il rapporto profondo e riflessivo con testi accuratamente scelti, che vivono per molto tempo tra le nostre mani e che diventano parte di noi?
Alla vigilia dei sessant'anni, quando il più dei tuoi anni ce li hai alle spalle eppure pensi di averne ancora di buoni e vitali, Giampiero Mughini comprò la prima casa della sua vita. Nel quartiere romano di Monteverde, un quartiere che prende il nome dal colore delle cave di tufo di cui era ricco e che i romani presero a sventrare a inizio secolo quando stava crescendo vertiginosamente la popolazione della capitale d'Italia. All'apparenza un quartiere di pace, e invece ogni mattina, quando va a comprare i giornali, Mughini passa innanzi alla palazzina tuttora intatta di viale Trastevere dove i nazi azzannarono all'alba del 16 ottobre 1943 una famiglia ebrea di cinque persone, i Sabatello, di cui nessuno tornò dai lager. Comincia dallo sguardo giornaliero a quella palazzina - e dunque dal racconto minuto per minuto e casa per casa di quanto accadde ai 1020 ebrei romani deportati ad Auschwitz la saga della memoria contenuta in questo libro. La memoria di uno che si danna da quanto l'eco dei suoi ricordi s'è fatta maledettamente sproporzionata rispetto allo sciagurato presente che noi italiani stiamo vivendo, un presente dove imbecilli e pagliacci di ogni risma la fanno da padroni. E tanto più che la casa di Monteverde è stata pensata per fare da tempio di quella memoria, le migliaia e migliaia di libri amati e collezionati che riempiono sette stanze e che raccontano copertina per copertina la storia della cultura italiana del Novecento...
“In tutto e per tutto sono stato a Trieste cinque o sei giorni della mia vita, in occasioni diverse e sempre per motivi di lavoro. Su tutti una sera tarda (o forse era già notte?) in cui una bionda e bella ragazza giuliana mi condusse per mano lungo le viuzze del ghetto, al modo di una cerimonia dell’assaporamento della triestinità che entrambi volevamo scarna ma intensa. Sostammo innanzi alla serranda sprangata della libreria appartenuta a Umberto Saba. Per le strade di quell’angolo di Trieste non c’era una persona, non una voce, non un rumore. Solo una sorta di fruscio.
Un frusciare come di anime che non si davano pace, almeno così a me parve.”
“Se uno che scrive non si caccia nei guai, che razza di scrittore è?”
“Città atta agli eroi e ai suicidi, dannata come da una diffusa inquietudine interiore, crogiuolo di lingue e di etnie, avamposto della modernità.
Trieste è una città dove si parla indifferentemente lo sloveno, il dialetto triestino, il tedesco, l’inglese, il francese, e dove si sono mescolati il sangue e le storie familiari di tutte le genti del centro d’Europa.”
Nella mente i ritratti dei Dubliners di Joyce, Giampiero Mughini cammina tra le vie della città di Svevo, Slataper, Benco, di Carlo e Giani Stuparich, Saba, Rosso e Magris: nascono così incontri umani e letterari sulle tracce degli eroi che hanno forgiato il carattere di una città cosmopolita, con il fascino di frontiera di un luogo fuori dal tempo. L’invenzione della modernità, tra romanzi incompresi e libri inseguiti, passa dalla scrittura “dilettante” del figlio di un industriale del vetro, conosce il fascismo e le leggi razziali, soffre l’irredentismo e il dramma delle foibe, e si racconta con passione in un viaggio per luoghi e personaggi, lungo le strade affacciate sul molo Audace.
Giampiero Mughini
Nato in Sicilia da padre toscano, vive e lavora a Roma.
Questo è il suo ventiduesimo libro.