"Per abbattere un muro, non c'è che abbatterlo. Con altri sistemi, come il pensare molto a lungo e molto fortemente alla caduta del muro, non si abbatte." È questa la tensione che anima "La linea gotica": una sorta di diario privato che Ottiero Ottieri rivive in pubblico, un urgente e teso svilupparsi di riflessioni, racconti, esperienze personali che abbracciano un intero decennio, dal 1948 al 1958. È un libro che "deve essere letto oggi", come annota Furio Colombo nella prefazione, una storia dell'Italia del dopoguerra in cui l'autore vuole riconoscere soprattutto le angosce irrisolte e i tormenti taciuti, costringendosi a viverli sempre in prima persona, tanto nelle metropoli del Nord quanto nelle campagne della Toscana o nei paesi del Mezzogiorno. La sua analisi intellettuale non accetta di essere pura riflessione, ma esige l'immersione nel mondo della fabbrica, delle periferie, delle manifestazioni operaie di piazza, dove la nevrosi e l'alienazione si trasformano in malattia comune e incurabile. Il trauma personale dell'autore è quindi filtro e rivelazione del dramma sociale, il suo ricovero in ospedale la condivisione di una sorte estrema e comune, la sua lacerazione interiore una lente d'ingrandimento per scoprire che cosa resti, aldilà delle tabelle di rendimento, all'individuo e quale intima felicità sia ancora possibile per l'uomo prigioniero del meccanismo della produzione aziendale.
Da una festa a un'altra festa, da una cena a un'altra cena, da Londra a Madrid e poi a Milano, da un amore a un altro, senza mai esserne convinti, senza che mai nulla incrini il guscio sottile della vanità e della ritualità mondana. E la jet society degli anni Sessanta, sono le sue manie e idiosincrasie, inquadrate e raccontate da Ottiero Ottieri con amara curiosità e con la minuta precisione di un entomologo. C'è un protagonista, Orazio, industriale che produce sanitari e cerca il modo di introdurre l'uso del bidet in Gran Bretagna; ci sono le sue battute di caccia e le avventure erotiche, con donne sempre occasionali che spesso sono semplicemente il suo specchio, come Mildred o Pamela; ma più di tutto ci sono dialoghi brillanti, quasi surreali nell'essere annoiati o smaccatamente seduttivi, battute fulminanti e situazioni farsesche che l'autore trascrive sulla pagina con umorismo tagliente e raffinatissima satira, mentre intorno l'Italia si prepara a tutt'altra catastrofe, alla contestazione studentesca e agli anni di piombo del dopo, mentre gli scioperi in atto nelle fabbriche alludono a ben altri possibili scontri. Ma il mondo dei "divini mondani", imprigionato tra elicotteri privati e liste di invitati esclusivi a feste esclusive, prosegue la sua scelta di vita ossessivamente effimera, del tutto incapace di riconoscere i propri privilegi e arroccato dentro la circolarità dei suoi stessi riti.
"L'irrealtà quotidiana" è un "saggio romanzesco" il cui nucleo è l'esperienza di una cura psicoanalitica intesa come terapia del "sentimento d'irrealtà", ossia di quel sentimento dovuto a uno stato di alienazione psichica e politica. È questo un tema caro a Ottieri, un tema che viene via via declinato in termini psicologici, politici, autobiografici, filosofici fino ad abbracciare il grande capitolo della follia.