"Insomma, quel mattino di novembre, mentre andavo a zonzo nel vuoto da non so quanto tempo, succede che io incontro questo tale. E vi posso dire che, accidenti, se prendevo a destra anziché a sinistra non lo avrei incontrato. Quindi? Quindi tutto questo deve pur significare qualcosa. Ho preso a sinistra ed è stato tutto quel che è stato, questa benedetta storia che adesso vi racconto". È da qui che prende avvio il romanzo, per trascinarci presto in un altrove abitato da asini, libri, funamboli, macinini da caffè, poeti, scollatori di francobolli e altre mirabolanti creature. E poi c'è Guglielmo, un ragazzino che scrive delle lettere sgangherate e bellissime da cui emerge a poco a poco la sua storia. E c'è qualcuno, Raimond, che raccoglie quelle parole e le trasforma in un'azione. Perché ciò che è vecchio, desueto, ai margini, eccentrico, può essere mosso da un'energia misteriosa e seguire strade poco battute, dove l'utile e l'inutile sanno ribaltarsi l'uno nell'altro e diventare, forse, una sostanza nuova.
Rimasto inedito per quasi trent'anni, questo "romanzo di formazione" traccia con classica serenità compositiva e al tempo stesso con febbrile, convulsa inquietudine testimoniale la storia di un giovane che vive il proprio sofferto distacco dall'età dell'irresponsabilità e dei miti come illusoria scoperta di un "modello di sviluppo" capace di affrancare insieme il suo destino e quello della società. Svincolandosi, o credendo di svincolarsi, dall'abbraccio dolcissimo e micidiale della piccola città in cui è nato, egli imboccherà "la strada per Roma", diventando finalmente adulto. Ma nel suo partire e tornare e ripartire, nell'intrico nevrotico delle sue amicizie e dei suoi amori, c'è l'ambiguità tragica, proiettata sul piano di un'esperienza individuale e gloriosamente "romanzesca", di una generazione e di una società che ha visto morire a poco a poco le passioni e le speranze nate subito dopo la guerra.
È dentro le stanze che le famiglie crescono: strepitanti, incerte, allegre, spaventate. Giovani coppie alle prime armi, pronte ad abbracciarsi o a perdersi. Come Nora e suo marito. Ma di quelle stanze bisogna prima o poi spalancare porte e finestre, aprirsi al tempo che passa, all'aria di fuori. "A lungo andare ogni amore ha bisogno di qualcuno che lo veda e riconosca, che lo avvalori, altrimenti rischia di essere scambiato per un malinteso". È così che la signora A., nell'attimo stesso in cui entra in casa per occuparsi delle faccende domestiche, diventa la custode della loro relazione, la bussola per orientarsi nella bonaccia e nella burrasca. Con le pantofole allineate accanto alla porta e gli scontrini esatti al centesimo, l'appropriazione indebita della cucina e i pochi tesori di una sua vita segreta, appare fin da subito solida, testarda, magica, incrollabile. "La signora A. era la sola vera testimone dell'impresa che compivamo giorno dopo giorno, la sola testimone del legame che ci univa. Senza il suo sguardo ci sentivamo in pericolo".
Il legame sociale e affettivo più nobile, l'amicizia, in un libro che ne rivela la forza consolatoria e al tempo stesso rivoluzionaria, in un'epoca segnata dalla crisi e dalla banalizzazione dei sentimenti. Col tono sobrio ma appassionato di sempre, Paolo Crepet indaga l'amicizia, sentimento "più dogmatico dell'amore", che non conosce sfumature di comodo, per ridarle dignità. Si interroga sulle amicizie maschili e femminili, sul loro rapporto con l'amore e con il sesso, con il dolore e con la morte, con la fedeltà e il tradimento. E ancora sull'amicizia tra genitori e figli e sul senso che essa ha all'epoca dei social network. Rivelandoci il potere che rivestono nella nostra vita le relazioni che non giudicano e non ricattano, ma chiedono complicità e gratuità. E lasciandoci nella mente alcuni ritratti indimenticabili, che con leggerezza e ironia trattengono qualcosa del passato, e ci fanno intuire che nell'amicizia il tempo non è mai perduto. Con una nuova prefazione dell'autore.
Essere felici può accadere molto più spesso di quanto immaginiamo, dobbiamo solo lasciare che accada. Per molti lagnarsi è più che un vezzo, una difesa: è ciò che sanno fare meglio perché lo hanno imparato fin dall'infanzia. Combattere questo atteggiamento vuol dire elaborare una nuova grammatica quotidiana, avviare una piccola rivoluzione cui Paolo Crepet dà il suo contributo in queste pagine. E dimostra come educare alla felicità, quella autentica - da non confondere con la gioia effimera - dovrebbe essere il compito primario di ogni adulto e di ogni insegnante. Così i bambini cresceranno più forti e meno ricattabili, e i ragazzi saranno più liberi.
Nel 1948 la Repubblica ha risposto all'invocazione lanciata quattro secoli prima da Raffaello: la Costituzione ha spaccato in due la storia dell'arte italiana, assegnando al patrimonio storico e artistico della nazione una missione nuova al servizio del nuovo sovrano, il popolo. La storia dell'arte è in gran parte la storia dell'autorappresentazione delle classi dominanti. Ma la Costituzione le ha dato un senso di lettura radicalmente nuovo. Il patrimonio artistico è divenuto un luogo dei diritti della persona, una leva di costruzione dell'eguaglianza, un mezzo per includere coloro che erano sempre stati sottomessi ed espropriati. L'articolo 9 ha fatto di più: ha sancito solennemente l'unione indissolubile del patrimonio storico e artistico e del paesaggio, e ha trasformato in progetto il ruolo etico e politico che questa unione ha giocato nella storia d'Italia. Le interpretazioni della Corte costituzionale hanno ampliato ancora questa visione originalissima, prendendo coscienza che il primo e più essenziale bene comune è l'ambiente, la cui tutela in nome dell'interesse pubblico è condizione essenziale per la stessa esistenza di una democrazia moderna. Il progetto della Costituzione sull'ambiente, sul paesaggio e sul patrimonio artistico è la promessa di una rivoluzione: sta a noi mantenerla.
Quando stai per avere un figlio lo sai che ad aspettarti c'è l'uragano. Sai che alla meraviglia si mescolerà la fatica delle notti in bianco, dei pianti incomprensibili e del tempo che sparisce. Quello che non ti aspetti, mai, è che da un giorno all'altro l'uragano ti trascini nello stesso ospedale in cui tuo figlio è nato poche settimane prima. In un luogo cosi impronunciabile che devi inventartene un altro, di nome: Oncologia pediatrica, il Regno di Op. Ma c'è un'altra cosa che non ti aspetti, e che scopri pian piano, una verità che ha il profumo dei pop-corn, i colori dei pennarelli, il suono di una canzone o di una ninnananna. Ed è che i bambini, anche quando sono malati, restano sempre soprattutto bambini. La battaglia di Paola e di suo figlio si intreccia con quella di tante altre famiglie, di tanti bimbi di tutte le età, combattenti piccolissimi e invincibili, e con quella di chi nelle stanze del Grande Ospedale non è di passaggio: le infermiere, i portantini, i medici che "ogni giorno, come i pompieri, provano a spegnere il fuoco". Ma la guerra finisce, prima o poi. E quando esci in piedi, da una guerra cosi, ti senti che la vuoi raccontare. Ecco come nasce questa storia di solidarietà e resistenza, questa "maratona sui carboni ardenti" che Paola Natalicchio ci restituisce con una voce nitida e pungente, persino allegra, capace di scardinare il dolore per trasformarlo in coraggio.
È un mattino di novembre. Nella sala di uno dei più prestigiosi college di Oxford, centinaia di persone aspettano l'inizio di una conferenza. Dopo qualche minuto entrano - nel silenzio generale - decine e decine di pecore. Bianche, lanose, ordinate, moderatamente belanti. Le guida Filippo Cantirami, giovane economista italiano, che come nulla fosse comincia il suo intervento sulla crisi dei mercati. Inizia così il nuovo romanzo di Paola Mastrocola. Quella incredibile invasione di pecore getterà nel caos i genitori Cantirami, convinti che il figlio modello sia a Stanford a finire un dottorato, e che si ritrovano all'improvviso spiazzati e in ansia. Cosa combina Fil, dov'è finito, chi è veramente? E chi è quel suo compagno Jeremy con il quale ha stretto un patto, che cosa si sono scambiati i due ragazzi, qual è il loro segreto? Fil sembra sparito nel nulla, perduto in un mistero. Imprendibile. E intanto, sullo sfondo, la crisi dei nostri giorni. Ma raccontata da lontano, come guardando il presente dal futuro, tra una cinquantina d'anni. Filippo Cantirami, il giovane rivoluzionario della Mastrocola, è un ragazzo privilegiato, un personaggio scomodo, di questi tempi: eppure è lui - in virtù dei suoi pensieri, dei suoi silenzi, dei suoi gesti e delle sue scelte - che pagina dopo pagina ci apre al sogno di una vita diversa. Un sogno che ci porta a riflettere sull'idea di tempo e sulla possibilità di metterla in discussione, di ripensarla.
Bambini maleducati, adolescenti senza regole, ragazzi ubriachi all'alba in una qualsiasi via di una qualsiasi città. Bullismo, indifferenza. Giovani senza occupazione che, invece di prendere in mano la propria vita, vegetano senza studiare né lavorare. Genitori che si lamentano di una generazione arresa, una generazione senza passioni, che sembra aver perso anche la capacità di stupirsi. Ma chi si è arreso per primo, se non i genitori stessi? Chi per primo ha smarrito lo stupore e l'indignazione? Chi, dicendo sempre sì, ha sottratto alle nuove generazioni l'essenziale, ossia il desiderio? I genitori "invertebrati", quelli che difendono i figli a priori, quelli che salvaguardano un quotidiano quieto vivere privo di emozioni e ambizioni, dove rimbomba soltanto l'elenco delle lamentele contro la società e la politica. Come se questo mondo non l'avessero creato proprio loro. Un pamphlet severo ma anche pieno di speranza, con cui Crepet ribadisce tenacemente che educare significa soprattutto preparare le nuove generazioni alle difficili, ma anche meravigliose, sfide del futuro.
Il legame sociale e affettivo più nobile, l'amicizia, in un libro che ne rivela la forza consolatoria e al tempo stesso rivoluzionaria, in un'epoca segnata dalla crisi e dalla banalizzazione dei sentimenti. Col tono sobrio ma appassionato di sempre, Paolo Crepet indaga l'amicizia, sentimento "più dogmatico dell'amore", che non conosce sfumature di comodo, per ridarle dignità. Si interroga sulle amicizie maschili e femminili, sul loro rapporto con l'amore e con il sesso, con il dolore e con la morte, con la fedeltà e il tradimento. E ancora sull'amicizia tra genitori e figli e sul senso che essa ha all'epoca dei social network. Rivelandoci il potere che rivestono nella nostra vita le relazioni che non giudicano e non ricattano, ma chiedono complicità e gratuità. E lasciandoci nella mente alcuni ritratti indimenticabili, che con leggerezza e ironia trattengono qualcosa del passato, e ci fanno intuire che nell'amicizia il tempo non è mai perduto.
"Opera di grande giornalismo e di intensa testimonianza morale, 'ROma 1943' pubblicato per la prima volta nel 1945 - resta un modello inarrivabile di cronaca autentica, di verità essenziale che poco o nulla ha a che vedere con la tradizione spesso dissimulatrice del giornalismo italiano. Ne era consapevole lo stesso Monelli: 'Mi pare che da questa cronaca pur scarsa e lacunosa esca già una lezione terribile per tutti noi: spesso, scrivendo, mi pareva di fare un doloroso esame di coscienza'". Così, nella introduzione, Lucio Villari ci ricorda che questa consapevole onestà intellettuale è stata fondamentale per fare di "Roma 1943", a cinquant'anni dalla prima pubblicazione, un vero libro di storia. E, per il piacere del lettore, l'autore non dimentica, nel far cronaca, il gusto per l'ironia, senza lasciarsi sfuggire le situazioni paradossali che sempre si accompagnano ai drammi.
Succede a volte che uno scrittore, una scrittrice, si allontani dalle storie della sua generazione e dal suo tempo proprio per l'urgenza di narrarlo meglio e renderlo vero, con il respiro di un vento largo che soffia con forza, da lontano. Così, al suo esordio narrativo, Paola Soriga si affida alla figura di una giovanissima staffetta partigiana, nella Roma che sta per essere liberata dall'occupazione tedesca, per dare nuova vita e necessità a un alfabeto di sentimenti che le parole di oggi non sanno più nominare. E ci regala un romanzo che ha la distanza delle grandi storie e la vicinanza dell'unica, misteriosa, scintillante vita che è la nostra, in ogni tempo e in ogni luogo