È proprio attraverso l'analisi del comportamento, di come giorno dopo giorno interagiamo con l'oggetto libro e i suoi contenuti, che Pennac riesce a dimostrare alcune storture dell'educazione non solo scolastica, ma anche familiare. Laddove, normalmente, la lettura viene presentata come dovere, Pennac la pone invece come diritto e di tali diritti arriva a offrire il decalogo. Piena libertà dunque nell'approccio individuale alla lettura perché "le nostre ragioni di leggere sono strane quanto le nostre ragioni di vivere".
Giovane medico del pronto soccorso, Gerard Galvan racconta una folle notte di molti anni prima, quando fra crisi di asma e arti spappolati era stato finalmente notato un uomo seduto su una sedia che ripeteva: "Non mi sento tanto bene". Il malato passa da tutti gli specialisti, convocati d'urgenza a risolvere uno dopo l'altro crisi acute di ogni genere: dall'occlusione intestinale all'esplosione della vescica, all'attacco epilettico. Rimasto accanto al suo letto, Galvan si addormenta e al mattino il malato non c'è più. È morto? È sparito? Dove è stato portato? Galvan non sa neppure come si chiama. Nessuno lo sa. Ma il paziente riappare e le cose che dirà e farà saranno per il buon Galvan la fine di un sogno.
Il mondo di sopra è abitato dagli orsi e il mondo di sotto dai topi. È risaputo: i due mondi sono incompatibili e i loro popoli sono acerrimi, secolari nemici. Eppure nessuno potrà impedire a un orso e a una topina di diventare compagni inseparabili. Prima, però, dovranno affrontare mille peripezie e pericoli, sfuggire a una miriade di topi furiosi attraversando i cunicoli delle fogne, evadere da un furgone blindato della polizia, scappare su un camioncino di dolci rubato, per rifugiarsi nella loro calda e accogliente casa nel bosco, nascosta sotto una coltre di neve. Qui potranno finalmente dedicarsi alle rispettive passioni, la musica e il disegno, anche se il pericolo non tarderà a ripresentarsi, con l'arrivo della primavera. Ernest e Celestine litigano e fanno pace, scherzano e si prendono cura l'uno dell'altra: dopo essersi incontrati, l'idea di separarsi è per loro la cosa più detestabile del mondo e per evitarlo sono disposti a tutto. Dalla stima dell'autore per l'artista Gabrielle Vincent, dall'amore per i personaggi dei suoi albi illustrati, nasce un romanzo per bambini che conquisterà i lettori di tutte le età. Età di lettura: da 7 anni.
L'autore affronta il grande tema della scuola dal punto di vista degli alunni. In verità dicendo "alunni" si dice qualcosa di troppo vago: qui è in gioco il punto di vista degli "sfaticati", dei "fannulloni", degli "scavezzacollo", dei "marioli", dei "cattivi soggetti", insomma di quelli che vanno male a scuola. Pennac, ex scaldabanco lui stesso, studia questa figura popolare e ampiamente diffusa dandogli nobiltà, restituendogli anche il peso d'angoscia e di dolore che gli appartiene. Il libro mescola ricordi autobiografici e riflessioni sulla pedagogia, sulle universali disfunzioni dell'istituto scolastico, sul ruolo dei genitori e della famiglia, sulla devastazione introdotta dal giovanilismo, sul ruolo della televisione e di tutte le declinazioni dei media contemporanei. E da questo rovistare nel "mal di scuola" che attraversa con vitalissima continuità i vagabondaggi narrativi di Pennac vediamo anche spuntare una non mai sedata sete di sapere e d'imparare che contrariamente ai più triti luoghi comuni, anima i giovani di oggi come quelli di ieri. Con la solita verve, l'autore della saga dei Malaussène movimenta riflessioni e affondi teorici con episodi buffi o toccanti, e colloca la nozione di amore, così ferocemente avversata, al centro della relazione pedagogica.
"Un eroe, Malaussène, che come lavoro fa il "capro espiatorio". Una famiglia disneyana, senza mamme e babbi, con fratellini geniali, sorelle sensitive, una "zia" maschio protettrice di vecchietti, ladri e travestiti brasiliani, una "zia" femmina super-sexy, ritratto irresistibile del giornalismo alla "Actuel", una misteriosa guardia notturna serba, un cane epilettico. Questa esilarante banda di personaggi indaga su una serie di oscuri attentati, sull'orrore nascosto nel Tempio del benessere, un Grande Magazzino dove scoppiano bombe tra i giocattoli e un Babbo Natale assassino aspetta la prossima vittima. Un'altalena tra divertimento e suspence, tra una Parigi da Misteri di Sue e una Parigi post-moderna dove proliferano i piccoli e grandi "orchi" che qualcuno crede estinti. Degli orchi si può ridere o si può tremare. Uno scrittore d'invenzione, un talento fuori delle scuole come Pennac, non ha certo paura di affrontarli con l'arma che lui stesso così definisce nel libro: 'l'umorismo, irriducibile espressione dell'etica'." (Stefano Benni)
3 agosto 2010. Tornata a casa dopo il funerale del padre, Lison si vede consegnare un pacco, un regalo post mortem del defunto genitore: è un curioso diario del corpo che lui ha tenuto dall'età di dodici anni fino agli ultimi giorni della sua vita. Al centro di queste pagine regna, con tutta la sua fisicità, il corpo dell'io narrante che ci accompagna nel mondo, facendocelo scoprire attraverso i sensi: la voce stridula della madre anaffettiva, l'odore dell'amata tata Violette, il sapore del caffè di cicoria degli anni di guerra, il profumo asprigno della merenda povera a base di pane e mosto d'uva. Giorno dopo giorno, con poche righe asciutte o ampie frasi a coprire svariate pagine, il narratore ci racconta un viaggio straordinario, il viaggio di una vita, con tutte le sue strepitose scoperte, con le sue grandezze e le sue miserie: orgasmi potenti come eruzioni vulcaniche e dolori brucianti, muscoli felici per una lunga camminata attraverso Parigi e denti che fanno male, evacuazioni difficili e meravigliose avventure del sonno. Con la curiosità e la tenerezza del suo sguardo attento, con l'amore pudico con cui sempre osserva gli uomini, Pennac trova qui le parole giuste per raccontare la sola storia che ci fa davvero tutti uguali: grandiose e vulnerabili creature umane.
L'ex "somaro" Pennac racconta la sua esperienza di alunno prima e di insegnante poi, mescolando ricordi autobiografici e riflessioni sulla pedagogia, sulle universali disfunzioni dell'istituto scolastico e sul ruolo della famiglia. Con la solita verve, ma con una nuova furiosa dolcezza, l'autore movimenta riflessioni e affondi teorici con episodi buffi e toccanti e colloca la nozione di amore al centro della relazione pedagogica. E riflette sulla mai sedata sete di sapere che anima i giovani d'oggi come quelli di ieri.
L'autore affronta il grande tema della scuola dal punto di vista degli alunni. In verità dicendo "alunni" si dice qualcosa di troppo vago: qui è in gioco il punto di vista degli "sfaticati", dei "fannulloni", degli "scavezzacollo", dei "marioli", dei "cattivi soggetti", insomma di quelli che vanno male a scuola. Pennac, ex scaldabanco lui stesso, studia questa figura popolare e ampiamente diffusa dandogli nobiltà, restituendogli anche il peso d'angoscia e di dolore che gli appartiene. Il libro mescola ricordi autobiografici e riflessioni sulla pedagogia, sulle universali disfunzioni dell'istituto scolastico, sul ruolo dei genitori e della famiglia, sulla devastazione introdotta dal giovanilismo, sul ruolo della televisione e di tutte le declinazioni dei media contemporanei. E da questo rovistare nel "mal di scuola" che attraversa con vitalissima continuità i vagabondaggi narrativi di Pennac vediamo anche spuntare una non mai sedata sete di sapere e d'imparare che contrariamente ai più triti luoghi comuni, anima i giovani di oggi come quelli di ieri. Con la solita verve, l'autore della saga dei Malaussène movimenta riflessioni e affondi teorici con episodi buffi o toccanti, e colloca la nozione di amore, così ferocemente avversata, al centro della relazione pedagogica.
Il volume consta di due "pezzi" diversi: un monologo teatrale e un racconto. Il primo è intitolato "Monologo sulla paternità" ed è una sorta di divertito montaggio di frasi scucite dai quattro romanzi che hanno reso celebre la famiglia Malaussène. Il secondo "Ultime notizie dalla famiglia", è invece una piccola avventura vissuta tra le mura di casa Malaussène.
Il libro è composto da due versioni del testo teatrale Grazie: la prima, quella integrale pubblicata nel 2004 dal Pennac-autore, e la seconda, quella del Pennac-attore, alla quale è approdato attraverso l'esperienza sul palcoscenico, sera dopo sera, davanti al pubblico. Fra le due, Mes italiennes, cronaca di questa insolita avventura teatrale: "Che ci faccio qui? Che ci faccio dietro le quinte di questo teatro, dietro questa porta che sta per aprirsi sulla scena? lo! In scena! Ma cosa mi ha preso? lo, che non ho mai voluto fare l'attore! Ho un mattone in mano. Un mattone laccato, verniciato d'oro. Si presume che rappresenti un trofeo. La porta sta per aprirsi, e io sto per scaraventarmi in scena brandendo questo ridicolo trofeo. Perché? Perché io? In che razza di impiccio sei andato a cacciarti? Che cos'hai in testa, santo cielo?".
Giovane medico del pronto soccorso, Gerard Galvan racconta una folle notte di molti anni prima, quando fra crisi di asma e arti spappolati era stato finalmente notato un uomo seduto su una sedia che ripeteva: "Non mi sento tanto bene". Il malato passa da tutti gli specialisti, convocati d'urgenza a risolvere uno dopo l'altro crisi acute di ogni genere: dall'occlusione intestinale all'esplosione della vescica, all'attacco epilettico. Rimasto accanto al suo letto, Galvan si addormenta e al mattino il malato non c'è più. È morto? È sparito? Dove è stato portato? Galvan non sa neppure come si chiama. Nessuno lo sa. Ma il paziente riappare e le cose che dirà e farà saranno per il buon Galvan la fine di un sogno.
Siamo a teatro: il vincitore di un premio letterario ci mostra le spalle e grida "Grazie, grazie!" verso la platea che ha di fronte. Le luci si spengono, il sipario si chiude e il protagonista si volge verso di noi. Cerca le parole per ringraziare, ma il problema è: chi, come e perché ringraziare? L'autore premiato "per l'insieme della sua opera", punta alla sincerità: diventa puntiglioso, politicamente scorretto e più va a fondo nella questione più il "grazie" s'ingigantisce e finisce con il toccare temi morali che vanno ben oltre l'occasione. A chi tocca questo ringraziamento? Un omaggio di Pennac ai suoi lettori, ma a questo bell'inchino simbolico l'autore arriva disegnando una figura nevrotica, contorta, esilarante di uomo confuso. Un uomo al bivio.