«È dunque così che il ciclista incontra il mondo: dall'alto! Corre, corre a folle velocità senza toccare terra con i piedi, essere un ciclista è per lui qualcosa che significa quasi: sono il padrone del mondo» Thomas Bernhard Chi monta in sella a una bicicletta prova sentimenti di appagamento e pienezza: l'affrancamento dai limiti del corpo, l'ebbrezza della velocità e dell'indipendenza, la fuga dalle tristezze della vita. È così per i primi ciclisti, e poi sempre per ogni nuovo bambino che conquista la sua due ruote. «Sentivo di navigare nell'aria», ricordava un grande intellettuale come Ezio Raimondi. Ed è felicità per la donna, per la quale la bicicletta è strumento di emancipazione, così come per l'operaio di «Ladri di biciclette», che grazie alla bici può trovare lavoro. Oggi è anche la felicità della fuga dalla civiltà moderna, il sogno di un mondo lento a misura d'uomo. Poeti, scrittori, filosofi e gente comune hanno testimoniato la loro gratitudine per la bicicletta fonte di felicità: in questo libro, felice a sua volta, Pivato tesse il racconto di un inscalfibile amore collettivo per le due ruote.
Indispensabile nella vita contemporanea, strumento di svago e di lavoro, simbolo di libertà: la bicicletta ha 150 anni e non li dimostra. Ci ha accompagnato dentro la prima modernità industriale, ha cambiato lo stile di vita di uomini e donne. Una marcia vincente ma non priva di ostacoli: ai suoi inizi essa infatti parve un attentato alla pudicizia femminile, una minaccia alla dignità dei sacerdoti cui ne fu proibito l'utilizzo, persino un incentivo alla criminalità, dando luogo a dibattiti accaniti e grotteschi. Una storia straordinaria, che attraversa tutte le vicende del Novecento, dalle guerre alla Resistenza, alla ricostruzione che s'incarnò nei trionfi di Coppi e Bartali, per giungere ai giorni nostri che vedono ormai nella bicicletta il mezzo d'elezione della nuova sensibilità ambientalista.
L'elevatissimo indice del consumo di sport in Italia ha pochi paragoni. Il libro racconta le origini di questa particolarità partendo dalle origini del fenomeno, la seconda metà dell'Ottocento, per arrivare ai nostri giorni. Dalla cultura del corpo coltivata per difendere i confini della patria il libro passa ad analizzare la nascita del divismo sportivo negli anni Trenta e la funzione dello sport come strumento del consenso durante il fascismo. Nel dopoguerra lo sport diventa strumento di riscatto di una nazione uscita in macerie dal conflitto: la conquista del K2 o le vittorie di Coppi e Bartali risarciscono il sentimento nazionale. Dagli anni Settanta e Ottanta lo sport accompagna i nuovi miti di una nazione proiettata nel lancio del Made in Italy: la vittoria della nazionale di calcio ai mondiali del 1982, i trionfi della Ferrari o le imprese di Azzurra paiono certificare l'inserimento dell'Italia nel novero delle economie più avanzate.
Nell'età delle masse la politica deve parlare a tutti e adottare un linguaggio semplice e persuasivo; il parlare figurato, per metafore e apologhi, è strumento principe della propaganda. Così non stupisce che la politica ami, alla lettera, raccontar favole. Non tanto (o non solo) nel senso di dire panzane, ma in quello di riusare strutture narrative proprie della tradizione favolistica, mescolando al dato reale elementi di satira, leggende, miracolistica, zoologia, fisiognomica, profezia. Ecco allora Pinocchio diventare campione fascista ma anche comunista, il lupo di Cappuccetto rosso impersonare Togliatti e Truman e Stalin vestire i panni dell'Orco mangiafuoco. Il grottesco mondo della propaganda politica riportato alla luce in un divertente e istruttivo campionario di favole che la politica, soprattutto negli anni della guerra fredda, ha propinato agli italiani.
Condotta sulla base di una ricognizione vastissima nei registri di decine di comuni italiani, lo studio di Pivato traccia per la prima volta i contorni del vistoso fenomeno del nome ideologico, localizzandolo e seguendone l'evoluzione nel tempo. Il fenomeno attraversa le religioni politiche dell'Otto-Novecento, dal repubblicanesimo al socialismo, dall'anarchismo al nazionalismo, al fascismo, e declina nel secondo dopoguerra. Pivato repertoria e interpreta centinaia di nomi, mostrando in maniera convincente come essi si giustifichino all'interno di una cultura popolare che ha sostituito la religione con la politica, ma ha trasportato in questa atteggiamenti e ritualtà di quella.