È ora che qualcuno lo dica: «Grazie, Occidente!». Ma sono due parole che non incontrerete altrove. Tutto il bene che abbiamo fatto, a noi stessi e agli altri, è il supremo tabù di questa epoca. Nelle scuole non si insegna più la storia vera del progresso, che è nato a casa nostra e dove ha avuto un ruolo anche l'Italia. Invece nelle piazze e nella cultura contemporanea siamo sotto un processo permanente. È ora di ribellarsi, in nome della verità. Cinesi o indiani, brasiliani o africani, il mondo è popolato da miliardi di persone che devono la loro stessa esistenza... a noi. La scienza occidentale, pensiamo alla nostra medicina e alla nostra agronomia, è stata copiata e applicata dal resto dell'umanità con benefici immensi. Se la longevità è aumentata, la mortalità infantile è crollata, il livello d'istruzione è cresciuto nel mondo intero, è perché l'Occidente ha esportato progresso. Dove si combatte per migliorare i diritti umani - per esempio la condizione della donna - il paradigma da emulare siamo noi. Il nostro modello industriale ha sollevato dalla miseria grandi nazioni. La sfida per un'economia più sostenibile e per decarbonizzare l'ambiente sarà vinta grazie alla ricerca scientifica e all'innovazione tecnologica dell'Occidente. Viviamo in un'epoca in cui pronunciare queste verità è scandaloso, è proibito. Il conformismo dominante impone una versione bugiarda della storia, in cui la «razza bianca», europea o nordamericana, ha seminato solo distruzione, oppressione, sofferenze. L'idea stessa di progresso è disprezzata, siamo sottoposti a un lavaggio del cervello quotidiano per inculcare la certezza che l'Apocalisse è dietro l'angolo (per colpa nostra). In questo viaggio tra la storia degli ultimi secoli e la geopolitica del mondo contemporaneo, Federico Rampini approfondisce quel che l'Occidente è stato davvero per l'umanità. Quali tratti originali della nostra civiltà hanno fatto sì che da mezzo millennio il progresso nasca qui e non altrove? Perché la Cina e l'Iran oggi si definiscono «repubbliche», un concetto che non esiste in Confucio o nel Corano? Una lezione di onestà storica è urgente per le nuove generazioni, aiuta a ricostruire la nostra autostima e a vedere il futuro con più fiducia.
L'altra faccia della tragedia israelo-palestinese è a poca distanza: è la rapida evoluzione in atto in Arabia saudita, che allarga su scala più vasta gli esperimenti già avviati a Dubai o nel Qatar. Quell'area compresa tra il Golfo Persico e il Mar Rosso è un gigantesco cantiere di sviluppo, attira un boom di investimenti e di imprese straniere, anche italiane. E accoglie nuovi flussi di imprenditori, turisti, studenti e ricercatori (il nostro Paese si è accorto della svolta con qualche ritardo quando Roberto Mancini ha abbandonato la guida della nazionale di calcio per quella saudita e Riad ha soffiato a Roma la sede dell'Expo). Ma cosa c'è dietro? Una delle chiavi è la laicizzazione in corso, che riduce i poteri del clero islamico, liberalizza i costumi e migliora i diritti delle donne. In questo reportage ispirato dai suoi viaggi più recenti Federico Rampini racconta il «nuovo impero arabo» che resta un regime autoritario (su cui la guardia deve restare alta) ma vuole rilanciare il proprio ruolo mondiale, memore di quella che fu l'epoca d'oro della sua civiltà. E che sembra uscire dal vittimismo antisraeliano spezzando la catena dell'odio nei confronti dell'Occidente (e il suo finanziamento) che ha portato alla diffusione della Jihad e della violenza fanatica. È un'area in forte crescita, segnata da progetti grandiosi di modernizzazione con ricadute nella geopolitica, nell'energia, nell'economia, nella finanza, nella tecnologia e nel campo della lotta al cambiamento climatico. Ma l'Arabia e i suoi vicini più piccoli sono sotto la minaccia permanente di un avversario come l'Iran e del focolaio minaccioso del Golfo di Suez; e il conflitto israelo-palestinese condiziona leader e popoli di tutta la zona. Dal successo nei piani avveniristici di questa parte del mondo dipenderanno anche lo sviluppo dell'Africa, la stabilità del Mediterraneo, la sicurezza mondiale, la transizione verso un'economia meno condizionata dal petrolio. «Bisogna trattenersi, prima di abbracciare visioni del mondo manichee, crociate che oppongono le forze del Bene e del Male. L'Arabia merita di essere studiata più che esorcizzata.»
Il nostro futuro si giocherà in Africa. Il mondo la osserva con un'attenzione nuova. È il baricentro demografico del pianeta: lì si concentrerà la crescita della popolazione in questo secolo, mentre la denatalità avanza altrove. Un'altra sfida riguarda le materie prime, in particolare materiali strategici nella transizione verso un'economia sostenibile: molti dei minerali e metalli rari indispensabili per i pannelli solari o le auto elettriche vengono estratti in Africa. Del continente gli italiani conoscono solo una narrazione pauperistica e catastrofista. L'Africa è descritta come l'origine della «bomba migratoria» che si abbatterà su di noi. Viene compianta come la vittima di tutti gli appetiti imperialisti e neocoloniali: quelli occidentali o la nuova invasione da parte della Cina. Fa notizia solo come luogo di sciagure e sofferenze: conflitti, siccità e carestie, sfruttamento e saccheggio di risorse, profughi che muoiono attraversando il Mediterraneo. Dagli anni Settanta, quando si spensero le prime speranze di rinascita nell'epoca dell'indipendenza post-coloniale, l'Occidente ha mescolato la sindrome della pietà, i complessi di colpa e una «cultura degli aiuti umanitari» destinata a creare dipendenza e corruzione. Contro gli stereotipi s'impone una nuova narrazione. Ce la chiedono autorevoli personalità africane, che si riprendono il diritto di raccontare l'Africa così com'è davvero, senza piangersi addosso, ribellandosi ai luoghi comuni occidentali. L'Africa non è una nazione, è un continente immenso con diversità enormi, dal Cairo a Johannesburg, da Addis Abeba a Lagos. Non è solo sofferenza e fuga, come dimostra la sua straordinaria vitalità culturale. A New York, Londra e Parigi siamo invasi da romanzi, musica, film, pittura e mode creati da nuove generazioni di artisti africani. La diaspora brilla per le eccellenze: negli Stati Uniti i recenti immigrati dall'Africa hanno dato vita a una delle comunità etniche di maggior successo. Esiste un protagonismo africano. Sbagliamo quando descriviamo il continente soltanto come «oggetto» di manovre altrui (America, Cina, Russia, Europa). Senza ricadere nelle illusioni dell'Afro-ottimismo che già si sono accese e spente nei decenni passati, questo saggio è una provocazione contro la pigrizia intellettuale e un antidoto contro le lobby che usano l'Africa per i propri scopi. Il nostro sguardo deve cambiare perché lo sguardo degli africani su se stessi sta cambiando. Fallito il modello degli aiuti, fallite le dittature e gli statalismi, mentre c'è chi tenta di importarvi il «modello asiatico», noi europei dobbiamo uscire dalla nostra passività. Quasi un ventennio fa, Federico Rampini fece scoprire agli italiani un'Asia nuova, in vorticoso cambiamento, con Il secolo cinese e L'impero di Cindia. Oggi affronta con lo stesso approccio spregiudicato il Grande Sud globale, guidandoci nella sua riscoperta senza paraocchi, da testimone in presa diretta, attraverso reportage di viaggio e dando la voce a personaggi che fanno la storia.
Chi sono? Che cosa ci sto a fare al mondo? Perché esiste ciò che esiste? Come posso distinguere la verità dall'errore? Sono questi alcuni degli eterni interrogativi che accompagnano l'esistenza di ogni persona. In queste pagine l'autore prova a fornire alcune linee guida utili a chi, adulto, viene interpellato su tali questioni da giovani, ragazzi e adolescenti; lo fa confrontandosi con il pensiero dei più importanti filosofi della classicità e del medioevo, all'insegna dell'uso retto della ragione e provando a fissare punti fermi che fungano da sostegno a chi cerca la verità su di sé, sugli altri e sul mondo.