Ci sono bar che sono piccole oasi dove ogni tanto irrompe una sapienza pratica che regala a tutti un'occasione migliore per uscire fuori e andare a fare il proprio dovere, con una parola in più sulla vita. Ci sono parole, come l'ebraico dabar, che sono mondi, che ammoniscono su quanto può essere severa la vita e le parole con cui la abitiamo. Questo libro vorrebbe stare all'incrocio tra il bar e il dabar, tra il sorriso dello humour e la serietà delle cose, offrendo quattro chiacchiere su Dio e sulla fede, vigilando speranzosi sulla possibilità di una grazia. Le sezioni in cui è diviso il libro rimandano a quelle tradizionali della teologia, intesa come disciplina scientifica. Dato tuttavia che le cose serie necessitano di un aspetto giocoso, l'ultima sezione è l'«apologetica», ossia quella parte della teologia polemica, speriamo sempre rispettosa, ma vivace, come le discussioni nei bar di una volta, la domenica, dopo la messa. Può sembrare paradossale, ma una buona teologia dovrebbe mantenere una sana inquietudine di fronte alle parole che la tradizione le ha affidato. Dovrebbe avere la stessa accortezza dell'artificiere con la polvere da sparo, o dell'insegnante con l'anima dell'adolescente.
Un filosofo che fu vescovo anche se non credeva alla risurrezione ed era sposato; un papa professore di teologia che non riuscì a riformare la Chiesa; una donna che diventò diacono di Costantinopoli; un dottore della Chiesa «saraceno di testa»; un monaco che spiegò come l’irascibilità sia un dono; un affarista senza scrupoli cui dobbiamo la riscoperta patristica; un mistico che non riusciva ad aver paura dell’inferno; una donna che con una sola frase cancellò una dottrina secolare: sono solo alcuni degli esempi delle storie della Chiesa che possono avere ancora molto da dire.
Persone che hanno retto il peso e la bellezza dell’essere uomini e donne del proprio tempo, restando fedeli al Vangelo. Possiamo farcela anche noi, oggi.