Chi sono i barbari? Si dice siano "gli altri". E se invece fossimo proprio noi? Il nostro imbarbarimento corrisponde alla diffusa sottocultura omologante alimentata dall'attuale stile di governo. È questa l'"anomalia italiana" in cui Rovatti identifica i tratti della barbarie contemporanea. Il libro è costruito attraverso una serie di scene ritagliate dalla recente realtà sociale e politica italiana. La strisciante violenza quotidiana, l'oscillazione perversa tra privato e pubblico, lo sfacelo della scuola, una cultura degradata a "cultura televisiva" e la diffusione di una neolingua semplicistica e violenta. Episodi sintomatici, ciascuno a suo modo, della nostra barbarie, ma a volte anche spiragli di una possibile via di fuga dalla sua morsa.
Una specie di diario, brevi e appuntite riflessioni sui fatti accaduti nell’ultimo periodo, dal caso Eluana allo scoppio razzistico di Rosarno, per mettere in evidenza il terreno “minimo” da salvaguardare contro ogni slittamento autoritaristico e contro ogni violenza quotidiana.
Scritti polemici, vicini ai famosi interventi “corsari” di Pier Paolo Pasolini, scritti che poco hanno da spartire con il conformismo oggi dilagante.
L'autore
Pier Aldo Rovatti insegna Filosofia teoretica e Filosofia contemporanea all’Università di Trieste. Nelle nostre edizioni ha pubblicato, tra gli altri, La filosofia può curare? (2006) e Abitare la distanza (2007).
"Abitare la distanza" è la condizione dell'uomo, caratterizzata dal paradosso: egli è dentro e fuori, vicino e lontano, ha bisogno di un luogo, di una casa dove "stare" ma poi, quando cerca questo luogo, scopre il fuori, la distanza, l'alterità. Nello scenario del pensiero contemporaneo, l'autore interroga i filosofi che guardano in questa stessa direzione - Heidegger, Derrida, Lacan, ma anche Merleau-Ponty, Ricoeur, Bateson -, non solo descrivendo una condizione "impossibile" ma soprattutto indicando un modo, un atteggiamento, un "come" stare nel paradosso. E proponendo alcuni esercizi - nello stile di possibili pratiche filosofiche - relativi allo sguardo, all'ascolto e alla scrittura.
La filosofia è oggi chiamata a un compito antico: quello di affiancarsi alle terapie del disagio diffuso, anzi di precederle in una relazione non medicalizzata e dunque non terapeutica. Ma cosa potrà significare in questo caso "cura" e ci sarà davvero uno spazio sociale per una simile pratica filosofica? Questo libro analizza luci e ombre del fenomeno: non si tratta di rifiutare la consulenza filosofica ma di evitare il rischio di una banalizzazione della filosofia stessa, producendo invece uno sprone verso l'esercizio pratico e la concretezza, il che non è certo poco.