Il cristianesimo vive fin dalle origini di una tensione interiore che nessuna forma storica riesce a spegnere o acquietare. Francesco d'Assisi esprimeva questa tensione nella polarità, per lui non dirompente anche se sofferta, tra la forma del vangelo e la forma della chiesa romana. La storia dimostra che non si tratta solo della chiesa "romana", ma della forma della chiesa in quanto tale. Questo libro si muove dentro questa polarità, senza voler escludere nessuno dei due termini, ma lo vuole fare senza illusioni. In primo luogo occorre quindi ravvisare la complessità di quella "cosa" che lungo i secoli viene chiamata "cristianesimo". Il termine cristianesimo infatti è ultimamente non un concetto, ma un nome con cui gli uomini hanno tentato di afferrare, con sottolineature ogni volta diverse, il movimento che trae origine dalla vicenda di Gesù di Nazareth. Ai nostri giorni il cristianesimo si trova poi ad essere confrontato con alcune grandi sfide: quella del movimento verso l'unità delle chiese che lungo i secoli si sono vicendevolmente separate; quella della solidarietà collettiva nella colpa, che rende pesante il respiro di un'umanità che vorrebbe raggiungere una fase più alta di fraternità; quella di una diversa configurazione storica della diversità dei mondi vitali, delle culture e delle religioni, dove la differenza stessa possa diventare motivo di incontro
La cristianità sorge quando il cristianesimo si pone come religione non solo lecita, ma altresì "dominante", se non unica, nella società in cui è professato e assolve a tutte le funzioni che competono ad una istituzione religiosa che voglia fornire identità a un gruppo sociale. Se quindi la cristianità è una variante della "religione civile", che cosa hanno di diverso i nemici della cristianità? Potrebbe, questa, sembrare una domanda banale. La dialettica amico-nemico è infatti alimentata dalle religioni. Perché la cristianità dovrebbe costituire un caso a parte? Siano essi gli appartenenti ad altre religioni, siano essi i devianti dalla pratica religiosa dominante, i "nemici" trovano proprio nelle religioni il loro terreno di coltura più spontaneo. Resta vero tuttavia che il cristianesimo contiene, nel suo "canone" costitutivo, una configurazione atipica del rapporto con il "nemico", per cui il "nemico" propriamente non dovrebbe essere più tale. Perché allora nella tradizione cristiana si passa dall'atteggiamento della prima lettera di Pietro, dove si riflette una minoranza straniera e amica al tempo stesso della società, a quello maggioritario e "violento", convinto della coestensività tra cristianità e umanità, di Bernardo di Chiaravalle?