"Antonio Scornajenghi prende le mosse dal tipo di città che Wojtyla incontra al momento della sua elezione per ricostruire un lungo rapporto tra vescovo e diocesi, sviluppatosi per 27 anni, il più duraturo del XX secolo. La capitale alla fine degli anni '70 è una città ingrigita e piena di insicurezze. Giovanni Paolo II non accetta che la sua diocesi si rassegni a vivere il Vangelo nel privato, in sagrestia, all'interno delle sale parrocchiali, o nei dibattiti di ristretti circoli intellettuali. Si impegna da subito a cercare realtà vive nel tessuto ecclesiale romano. Rendere nuovamente vivace l'annuncio del Vangelo da parte della comunità cristiana diviene un suo obiettivo preminente. Il rapporto profondo di papa Wojtyla con la sua diocesi è ineludibile per comprendere la dimensione pastorale della sua vita giocata tra Roma e il mondo. Le pagine di Giovanni Paolo II vescovo di Roma restituiscono al lettore il dipanarsi in profondità del rapporto tra Giovanni Paolo II e la sua diocesi, mentre ripercorrono con cura alcuni dei grandi cambiamenti di Roma nell'ultimo quarto del XX secolo, illuminandoli con racconti di testimoni e preziosa documentazione. Il rapporto tra Roma e Wojtyla è in questo senso utile anche per guardare alla città con uno sguardo più ampio di quello con il quale spesso la si descrive." (dalla Presentazione di Marco Impagliazzo)
L'attenzione dell'autore si è concentrata in queste pagine sul confronto-scontro tra liberali e popolari nell'ambito della nascente democrazia di massa nell'Italia del primo dopoguerra. Un periodo molto delicato, anche a livello europeo, caratterizzato da profonde trasformazioni socio-economiche e politiche. In Italia si assiste ad una lenta agonia delle istituzioni liberali, che ha avuto più tappe. Una di queste è stata proprio la mancata e leale intesa fra liberali e popolari durante i deboli e instabili governi Nitti e Giolitti, negli anni 1919-1921, quelli della prima Legislatura (la XXV), frutto della nuova riforma elettorale proporzionale. L'alleanza fra gruppi liberali e PPI, l'unica possibile in quegli anni, data l'intransigenza del PSI attestato su posizioni massimaliste, si presenta però di difficile attuazione a causa delle diffidenze politiche e "culturali" reciproche. Il volume dedica spazio anche al nascente movimento fascista, soprattutto a come i gruppi liberali e il PPI lo hanno vissuto, e verifica che non in molti avevano inteso, in entrambi gli schieramenti, la reale natura violenta e sovvertitrice dei principi liberali, democratici e cristiani del movimento. Dall'esame di una vasta documentazione archivistica in gran parte inedita emergono gli errori di valutazione dei maggiori leaders liberali (Giolitti in testa) nei riguardi del movimento fascista e delle sue ripetute manifestazioni antidemocratiche e antiparlamentari, e risulta con evidenza come essi abbiano pesato in modo decisivo sulla crisi dello Stato e sull'avvento di Mussolini.