Primera edición en español de Introduction to Catholicism. Basado en el Catecismo de la Iglesia Católica, este texto cubre los principios básicos de la fe y lo que significa ser católico. 25 capítulos, algunos temas: La Santa Iglesia Católica, la bendita Trinidad, el misterio pascual, la bendita Virgen María, los Sacramentos y las oraciones, Moral Cristiana y la llamada universal a la santidad y doctrina Social. "El libro que el lector tiene en sus manos es una obra grande, no sólo por volumen y peso, sino por el contenido que recoge. Se trata de una explicación del Catecismo en todas sus partes llamada a ser instrumento eficaz para la nueva evangelización, ahora también en lengua española. El editor y coordinador de un selecto grupo de autores participantes en este gran compendio es Scott Hahn, laico norteamericano, teólogo, biblista, economista y profesor en la Universidad Franciscana de Steubenville, es bien conocido en nuestra lengua desde que nos diera a conocer, junto con su mujer, en su autobiografía ["Roma, dulce hogar: nuestro camino al catolicismo" (Rialp, Madrid: 2013)] su tránsito en 1986 a la Iglesia católica. Laicos, estudiantes, familias...se beneficiarán de la riqueza, profundidad, claridad, pedagogía, lenguaje, etc. que caracterizan a este obra. Conocer a fondo la fe es esencial para poder amar al "objeto" de nuestra fe: Jesucristo. Doy la cordial bienvenida a esta traducción y animo a parroquias, grupos apostólicos, escuelas de teología, ámbitos universitarios [...] a que tomen con entusiasmo esta obra en sus manos: no quedarán defraudados al ver el gran fruto que todos podremos sacar de ella. Curiosamente España llevó la fe a las tierras de América y ahora podemos beneficiarnos de lo que desde allí llega al Viejo Continente en el siglo XXI. Con adhesión y fidelidad al Catecismo y a la doctrina de la Iglesia, "La fe cristiana explicada: Introducción al catolicismo" es una obra llamada a ser instrumento de referencia en la nueva evangelización?. José Ignacio Munilla Aguirre, Obispo de San Sebastián.
Per duemila anni, fino a metà del secolo scorso, le comunità di una vasta regione montuosa del Sud-est asiatico hanno tenacemente resistito all'idea di integrarsi in una qualche forma di dominio da parte dello Stato. Zomia è il nome di quest'area d'insubordinazione che non appare su alcuna carta (una zona montagnosa grande come l'Europa, che attraversa cinque nazioni del Sud-est asiatico e quattro province della Cina), ed è il vasto altopiano dove trovarono rifugio circa cento milioni di persone unite dalla volontà di sfuggire al controllo dei governi delle pianure. Trattati come «barbari», questi popoli nomadi misero in atto strategie di resistenza a volte sorprendenti per evitare lo Stato, sinonimo di lavoro forzato, tasse, epidemie e leva militare obbligatoria. Favorirono pratiche agricole che incentivavano la mobilità residenziale, insieme a forme sociali egualitarie, fondate sull'eclettismo religioso e l'accoglienza. Alcuni popoli decisero persino di abbandonare la scrittura per evitare l'appropriazione della loro memoria e della loro identità, mentre l'oralità consentiva di riformulare continuamente la negoziazione degli accordi tra gruppi. Zomia ci rammenta che «civiltà» può essere sinonimo di oppressione e che il significato della storia non è così univoco come pensiamo.
La maggior parte della gente crede che la domesticazione degli animali e la coltivazione abbiano alla fine permesso agli esseri umani di stabilirsi, formando villaggi, città e stati agrari, rendendo così possibile la civiltà, la legge, l'ordine pubblico e un modo di vivere presumibilmente sicuro. Tuttavia, le prove archeologiche e storiche mettono in discussione questa narrazione. I primi stati agrari nacquero da un accumulo di domesticazioni: prima del fuoco, poi delle piante, del bestiame, ma anche delle persone assoggettate allo stato, dei prigionieri e infine delle donne all'interno della famiglia patriarcale, tutti elementi che possono essere considerati un modo per ottenere il controllo sulla riproduzione. James C. Scott analizza il motivo per cui per un periodo l'uomo evitò la sedentarietà e l'agricoltura con l'aratro, sfruttando i vantaggi della sussistenza mobile; considera le epidemie di malattie imprevedibili derivate dalla concentrazione di piante, animali domestici, granaglie; e spiega perché tutti i primi stati si basarono su miglio, cereali e schiavismo. Affrontando infine il tema della vita al di fuori dello stato, la vita dei «barbari», spesso piú facile, libera e sana di quella all'interno della civiltà.