Nel 1933 Simenon compie trent'anni e decide che è venuto il momento di diventare un vero scrittore. Per far questo, opera due rotture significative: con il personaggio che gli ha dato la fama e con l'editore Fayard che lo ha pubblicato. In giugno termina "Maigret", il romanzo in cui manda in pensione il commissario. In ottobre firma un contratto con Gaston Gallimard, patron della più prestigiosa casa editrice francese. Ciò nonostante, da Maigret non riesce a staccarsi, e in fondo anche al suo nuovo editore non dispiacerebbe vederlo "resuscitare", sebbene entrambi sappiano che un ritorno del commissario rischierebbe di interferire con la nuova carriera dello scrittore. Il quale, però, troverà un compromesso soddisfacente, che consisterà nel limitarsi a scrivere dei racconti destinati ad apparire solo su riviste. In molti di essi, come nei quattro raccolti in questo volume, Maigret è sì in pensione, ma è "costretto" a indagare su casi più o meno tenebrosi: o perché non riesce a vincere la curiosità (come nel "Notaio di Châteauneu") ; o perché, in vacanza con la moglie, si trova ad assistere a un omicidio (come in "Tempesta sulla Manica") ; o perché non sa respingere una richiesta di aiuto (come nella "Signorina Berthe e il suo amante"); o infine perché, commettendo quello che è difficile non definire un atto mancato, quarantott'ore prima di lasciare il Quai des Orfèvres risponde a una telefonata nell'ufficio dei suoi ispettori (come in "Assassinio all'Étoile du Nord").
Da vecchio, quando sarà diventato un pittore famoso, a chi gli chiederà: "Maestro, qual è l'immagine che ha di se stesso?" Louis Cuchas risponderà senza esitare, allegro e pudico come sempre: "Quella di un ragazzino". Infatti, anche quando attorno a lui si sarà ormai creata una vera e propria leggenda, rimarrà il bambino dall'occhio limpido e svagato che sembrava non guardare niente e invece "guardava molta gente e molte cose, ma non quelle che ci si aspettava lo interessassero", il bambino che non reagiva alle aggressioni degli altri, e a cui avevano affibbiato il soprannome di "angioletto". Era stato così sin da piccolissimo, negli anni - alla fine dell'Ottocento - in cui dormiva su un pagliericcio uguale a quello che spettava a ciascuno dei cinque fratelli (ciascuno, peraltro, di un padre diverso), in una sordida stanza di rue Mouffetard. Tutto lo incuriosiva e lo affascinava, e tutto lui assorbiva e immagazzinava - i tram, la verruca sulla guancia di una donna grassa, un quarto di bue appeso a un gancio, le espressioni delle facce per strada, i facchini delle Halles -, tutto quello che un giorno, quando avrebbe finalmente scoperto la propria vocazione, sarebbe entrato nei suoi quadri in larghe pennellate di "colori puri": come puri erano lo sguardo e l'anima di colui che se n'era appropriato.
Quando scendono dal treno nella stazione di una cittadina di provincia, si conoscono da un paio di mesi appena. Quel quarantenne un po' sciupato ma ancora di bell'aspetto, e con qualche pretesa di eleganza - un cappello a larghe tese, un bastone da passeggio con l'impugnatura d'oro -, che si fa chiamare De Ritter, Léa lo ha incontrato nella casa chiusa di Clermont-Ferrand dove lavorava; se lo ha seguito è solo perché lui le ha fatto baluginare la possibilità di una combine che frutterà loro parecchio denaro. Da subito, però, Léa sente che c'è qualcosa di poco chiaro, di inquietante perfino, nella scelta del luogo: perché mai De Ritter ha deciso di tornare proprio lì, in quel buco dov'è nato e che ha lasciato a diciott'anni, nella convinzione che avrebbe fatto grandi cose? Per di più, adesso che ci sono, di denaro non se ne vede, e lei riprende a rimorchiare gli uomini nei caffè - gli stessi caffè dove lui tiene banco con il racconto delle sue mirabolanti avventure in giro per il mondo. Quello che non dice è che in quei luoghi esotici, Tahiti, Giava, Rio de Janeiro, Bombay, ha vissuto di lavoretti umilianti, di piccole truffe; e che da Panama è stato perfino costretto a fuggire per evitare di farsi un paio d'anni di galera... In questo romanzo attraversato da oscure tensioni Simenon delinea magistralmente una febbrile ricerca del tempo perduto che non può sfociare in altro che nel disgusto di sé e nel delitto.
Tutti, compresa una decina di automobilisti di passaggio, facevano capannello attorno al relitto ripescato dal fiume, e alcuni tastavano distrattamente la carrozzeria o si chinavano per guardare dentro. Ed è proprio a uno di quegli sconosciuti che venne in mente di girare la maniglia del bagagliaio. Che, contro ogni aspettativa, nonostante la vettura fosse così deformata, si aprì facilmente; l'uomo cacciò un grido e indietreggiò di qualche passo, mentre chi gli era a fianco si precipitava a vedere. Maigret si avvicinò come gli altri, aggrottò la fronte e, per la prima volta dal mattino, non si limitò a borbottare qualcosa, ma fece sentire chiaramente la sua voce: "Via, fate largo!... Non toccate niente!". Anche lui aveva visto. Aveva visto una forma umana stranamente ripiegata su se stessa, pigiata in fondo al bagagliaio come se quest'ultimo fosse stato richiuso a fatica. Sopra quella specie di fagotto, una cortina di capelli biondo platino suggeriva che si trattava di una donna.
Jules Guérec - quarant'anni, celibe, proprietario di due pescherecci - è sempre vissuto nella cittadina bretone in cui è nato, nella casa adiacente all'emporio che la sua famiglia gestisce da generazioni, nello stesso odore "di catrame, cordami, caffè, cannella e acquavite", insieme alle due sorelle rimaste nubili, che lo accudiscono con una sollecitudine benigna, occhiuta e possessiva. A loro Guérec deve rendere conto di come spende ogni centesimo. Persino quando gli capita di andare a Quimper, e di non resistere alla tentazione di tornare in quella certa strada dove un paio di signore "arrivate da Parigi" passeggiano "gettando agli uomini sguardi provocanti", il pensiero di come farà a giustificare i cinquanta franchi mancanti gli rovina il piacere. Sono loro, le sorelle, a sorvegliare tutto, a provvedere a tutto. Anche quella volta che lui, da giovanotto, ha messa incinta una ragazza, è stata Celine - che delle due è la più penetrante e la più spiccia, e che afferma di conoscere il fratello come fosse un figlio suo - a prendere in mano la situazione. Una notte, però, Guérec, senza quasi accorgersene, sarà la causa di un evento tragico, le cui paradossali conseguenze potrebbero forse spingerlo a uscire dal bozzolo soffocante, ma anche tiepido e rassicurante, dei legami familiari.
"Il borgomastro di Furnes è un romanzo mirabile, che riassume la visione di Simenon. Il mondo è Furnes: questa misurazione, questa ripetizione, questo odio, questa apparente trasparenza, questa foltissima nebbia. Nessuna fuga è possibile. Il borgomastro intravede un barlume di libertà e di leggerezza: per un momento è abbacinato: vorrebbe fuggire; ma alla fine comprende che non potrà mai violare la sua fedeltà verso i vivi e i morti, e lentamente rientra tra le invalicabili mura, dove, come tutti noi, abita prigioniero da sempre." (Pietro Citati)
In questi nove racconti i lettori avranno il piacere di ritrovare il grande commissario, e di ritrovare anche i luoghi e le atmosfere in cui Maigret si sente più a suo agio. Nella Chiatta dei due impiccati, per esempio, Maigret conduce tutta la sua indagine alla Citanguette, uno dei bistrot sulla Senna dove si fermano a bere i marinai; nel Caso di boulevard Beaumarchais assistiamo a un interrogatorio di quelli che lo hanno reso famoso, tra la lampada dal paralume verde e il vassoio con le birre e i panini portati su dal cameriere della brasserie Dauphine; in Jeumont, 51 minuti di sosta!, Maigret è chiamato dal nipote a risolvere un caso di omicidio avvenuto su un treno al confine tra la Francia e il Belgio; in Pena di morte il drammatico epilogo avrà luogo in un night club di Bruxelles; in Le lacrime di cera il commissario fa "un viaggio indietro nel tempo", in un paesino della Francia profonda non lontano da quello in cui è cresciuto, tra le spesse mura di una casa dove tutto è "rimasto com'era una volta" e si respirano avarizia e rancore; in Rue Pigalle lo vediamo muoversi in un quartiere a lui familiare, Montmartre, dove si scontrano la banda dei Còrsi e quella dei Marsigliesi, e, in Un errore di Maigret, in quella rue Saint-Denis dove all'epoca ancora si alternavano alberghetti per prostitute e librerie "specializzate".
Sin dalla prima volta in cui Joseph Lambert ha scoperto la faccia di Edmonde nel momento del piacere (pallida come quella di una morta, con le narici contratte e il labbro superiore rialzato a scoprire i denti), lei non è stata più soltanto una florida, efficiente, taciturna segretaria: è diventata la sua complice. Tra loro è nata un'intesa che non è né amore né passione, ma piuttosto la condivisione di un gioco segreto. E quando, una sera, guidando a zigzag con la sinistra mentre tiene la destra tra le cosce di lei, Lambert sente dietro di sé il claxon disperato di un pullman e lo vede poi schiantarsi contro un muro, non pensa neppure a fermarsi. Si limita a gettare un'occhiata, nello specchietto retrovisore, all'immenso rogo che ha provocato. Solo più tardi saprà che, fra quei quarantasette bambini che tornavano dalle vacanze, c'è un unico sopravvissuto. Ma chi può sapere che è lui il colpevole? Colpevole di che cosa, oltretutto? E agli occhi di chi? Di suo fratello, di sua moglie, degli amici con cui gioca a bridge la sera? Esseri mediocri, che disprezza. Come disprezza la sua stessa vita. Se cercherà di sviare da sé i sospetti sarà solo per salvare quei momenti in cui, insieme a Edmonde, si rifugia in un universo altro, che lo attrae in modo enigmatico: così come enigmatico, e misterioso, è il piacere della donna.
Una piccola città, La Rochelle, immersa in una gelida pioggia autunnale; borghesi apparentemente insospettabili che giocano a bridge; una serie di strani delitti che viene improvvisamente a turbare la vita della città; e due personaggi (il cappellaio, agiato e rispettabile commerciante, e il "piccolo sarto" armeno con addosso il suo irrimediabile odore di aglio e di miseria) che si osservano in una comunicazione tragica e segreta: due sguardi consapevoli, due punti di vista contrapposti e complementari fino alla reciproca dipendenza, fino alla complicità, si affrontano in una sorta di controcampo investigativo di altissima tensione drammatica
Al funerale di Maurice Marcia, anziano proprietario di un noto ristorante di rue Fontaine ("un funerale coi fiocchi!" commentano i curiosi che vi assistono), partecipa, in grande spolvero, la "crème de la crème" della malavita parigina, dai boss ai giovani che si stanno facendo strada, dai magnaccia ai tenutari di case di appuntamento. In prima fila, sola e altera, la vedova: trent'anni, un corpo da mannequin, impenetrabili occhi azzurri. Una che non esita a giocare sporco, e che per Maigret sarà un osso duro. Il commissario non ci ha messo molto a intuire che la bella Line non è affatto estranea alla morte del marito, e grazie al misterioso informatore che continua a telefonare all'ispettore Louis (uno che conosce il quartiere come le sue tasche) apprenderà pure che, la notte in cui è stato trovato il cadavere di Marcia, lei era insieme al suo amante, il maggiore dei due fratelli Mori, sospettati di appartenere a una banda che svaligia le ville e i castelli nei dintorni di Parigi. Ma non sarà facile trovare il bandolo della matassa. Tanto più che alla fine, quando avrà riunito nel suo ufficio protagonisti, comprimari e comparse dell'intricata faccenda, Line e il suo amante continueranno ad accusarsi a vicenda. E non smetteranno neanche davanti ai giudici
In un nebbioso, buio pomeriggio di novembre, Eugène Malou si spara un colpo di pistola uscendo dalla casa del conte d'Estier, a cui ha invano tentato di chiedere un prestito. Tutti, in città (una piccola città della provincia francese), pensano che lo abbia fatto perché ormai era rovinato. E da una virulenta campagna di stampa hanno appreso sul suo passato dettagli sordidi, inquietanti. Alla famiglia lo spericolato imprenditore non lascia neanche i soldi per il funerale. Tensioni e rancori non tarderanno a scatenarsi, e ciascuno andrà per la sua strada. L'unico a restare in città sarà Alain, il figlio minore, che non accetta né di andare a vivere a Parigi con la madre, né di condividere con la sorella, una procace giovane donna la cui aggressiva impudicizia lo turba e lo imbarazza, l'appartamentino che le ha preso in affitto il suo amante, un noto chirurgo fornito di una moglie e due bambine. Ad Alain toccherà un compito arduo: uscire dall'inconsapevolezza in cui ha sempre vissuto, e soprattutto ricostruire un'immagine coerente dell'uomo che è stato suo padre - mettendo insieme gli sparsi tasselli della propria memoria e i racconti di quei pochi che l'hanno conosciuto davvero. Nel corso di quella che sarà al tempo stesso una sorta di indagine e un'iniziazione alla vita, il ragazzo scoprirà non solo quanto possano essere ingannevoli le apparenze, ma anche quale sia la vera ragione del suicidio di Eugène Malou. E saprà di essere, come suo padre, come suo nonno, un autentico Malou.
Una pazza, una mitomane: nessuno al Quai sembra avere dubbi. La compunta, esile vecchietta in abito grigio, cappello e guanti bianchi, che vuole ad ogni costo essere ricevuta da Maigret - perché solo lui può aiutarla: questione di vita o di morte -, deve avere qualche rotella fuori posto. Oltretutto la storia che Léontine racconta a uno sconcertato Lapointe è quanto meno bizzarra, anche per chi ne ha viste di tutti i colori. Pare che da un po' di tempo nel suo appartamento di quai de la Mégisserie, dove vive sola dopo la scomparsa del secondo marito, gli oggetti cambino posto, e che qualcuno la segua. Fantasie, è chiaro: la vecchiaia e la solitudine giocano brutti scherzi. Eppure, quando una sera la "vecchia pazza" - come la chiamano al Quai - lo abborda per strada, Maigret è assalito dai dubbi: quella donna sprigiona una straordinaria energia e i suoi occhi esprimono bontà, e una sorta di meravigliato, seducente candore. Che la sua strampalata storia sia vera? I dubbi di Maigret si tramutano in certezza allorché Léontine viene crudelmente assassinata: qualcuno l'ha soffocata con un tessuto rosso, di cui le sono rimasti in bocca dei fili. Un delitto inspiegabile, incomprensibile. Léontine aveva pochi gioielli, e teneva in casa una modesta somma di denaro. Cosa cercava, allora, l'assassino? Per quanto incredibile possa sembrare, è evidente che l'appartamento affacciato sulla Senna cela un segreto, un segreto tanto tremendo da giustificare il sacrificio di un essere umano.