Joseph Roth e Stefan Zweig ebbero un intenso rapporto epistolare, che consolidò la loro amicizia. A partire dagli anni Trenta, l'incalzare degli eventi politici invade inevitabilmente la sfera privata e professionale dei due scrittori, che sono costretti ad affrontare l'asprezza del nuovo clima intellettuale imposto da Hitler, verso cui anche molti editori e autori ebrei mostrano un'ingenua quanto fatale indulgenza. In lettere sincere e appassionate, mai tradotte in italiano, i due amici si scambiano giudizi, impressioni e commenti, dove la condizione privata si intreccia alla situazione generale. A un Roth caustico e rabbioso, che esorta l'amico fraterno a reagire con più decisione all'incombere della barbarie, risponde uno Zweig più rassegnato e disilluso, che ha iniziato il tormentato peregrinare in giro per il mondo, alla ricerca di un isolamento artistico e umano. Leggere queste lettere significa immergersi in uno dei periodi più bui della civiltà europea, attraverso lo sguardo di due testimoni che vissero quegli anni con intatta dignità e commovente sofferenza.
Arturo Toscanini incarna l'archetipo del direttore d'orchestra: perfezionista, irruenti, instancabile. Nel 1935, Paul Stefan, acclamato critico musicale, dedica al Maestro questo ritratto, scritto con rigore e passione, e qui riproposto con un'introduzione di Stefan Zweig.
Storia di uno scontro mortale dove la posta in gioco è la libertà di pensiero, questo libro non è solo un vivido affresco della Ginevra calvinista del Sedicesimo secolo. Nella visione di Zweig - che scrive nel 1936, in pieno consolidamento del regime nazista -, il teologo Sebastian Castellio e il riformatore Giovanni Calvino rappresentano due modi opposti di vivere la fede e gli ideali: da una parte la difesa della tolleranza e della dignità umana, dall'altra il fanatismo che incarna un potere dispotico. Cominciata sull'interpretazione delle Scritture, la sfida esplode con la condanna al rogo per eresia del medico e umanista Michele Serveto, quando Castellio prende apertamente posizione contro le persecuzioni religiose. Ha inizio così una battaglia condotta con le parole e a rischio della vita, attraverso la quale Castellio supera i confini della sua epoca per diventare un eroe, necessario e attuale, del pensiero aperto, dialogico e non violento.
La vita di Dostoevskij è «un’opera d’arte, una tragedia, un destino». Per Stefan Zweig, nella biografia dei geni non solo possiamo scoprire la radice dei loro capolavori, ma anche la chiave per interpretarli e comprenderli. In questo libro, il saggio letterario e il ritratto psicologico s’intrecciano, si rispecchiano e si fondono l’uno nell’altro. Analizzando minuziosamente il volto segnato del grande scrittore russo, Zweig ne elenca le tragedie, le passioni e i rovesci, cerca con parole appassionate di rendere la grandezza spaventosa dell’opera e la sua spietata rivolta contro il destino. Mostra come Dostoevskij riuscisse a vivere fino in fondo anche le sofferenze più atroci, quelle dalle quali gli altri escono schiantati, e trarne ragione di vita e di scrittura. La povertà, l’epilessia, la deportazione in Siberia sono per lui la strada che scende nelle profondità dell’animo umano e lo eleva verso l’assoluto. E così il crimine e il vizio sono vissuti sia come caduta sia come missione. Il martirio e il peccato sono allora il nutrimento di un’arte che rifiuta ogni limite, attraversata da dualismi irrisolvibili e feroci: l’anelito alla fratellanza e il nichilismo, un sarcastico materialismo e il bisogno di Dio. La trascinante lettura di Zweig diventa così una riflessione sui confini e gli abissi della creazione attraverso l’opera di uno scrittore che si era imposto di esplorarli anche a costo della sua stessa vita.