Questa vivace raccolta di aforismi, pubblicati nel 1901, un anno dopo la morte dell'autore irlandese più amato - e insieme più odiato - dell'Inghilterra vittoriana, rappresenta l'espressione delle riflessioni e degli affetti più profondi, originali e sentiti, di Wilde. Numerose battute paradossali, solo in apparenza ciniche, grottesche e superficiali, lasciano trapelare l'inquietudine del suo animo, l'ipercritica e la sofferenza del poeta che in poche righe riesce a penetrare nelle pieghe più riposte dell'animo umano.
Il fantasma di Sir Simon si aggira tra le antiche stanze del castello di Canterville da più di tre secoli, terrorizzando chiunque. Quando la famiglia Otis, appena giunta dagli Stati Uniti, decide ricomprare la tenuta, tutti la considerano pazza, poiché sanno che il castello è infestato. La famiglia americana, scettica, si rifiuta di credere alle storie di presenze maligne e il fantasma, stanco e sconsolato, verrà aiutato da Virginia che cambierà per sempre il suo destino. A questo si aggiungono in questa raccolta altri celebri racconti del più noto autore irlandese.
"Io diventerò vecchio, brutto, ripugnante. E questa immagine rimarrà sempre giovane. Giovane quale io sono in questa giornata di giugno. Oh, se si potesse realizzare il contrario! Se io dovessi rimanere sempre giovane, e il ritratto diventasse vecchio! Per questo, per questo, darei qualunque cosa! Darei la cosa più preziosa del mondo! Darei anche la mia anima per questo!
Tranne la celeberrima Ballata del carcere di Reading (1898), quasi tutta la produzione poetica di Oscar Wilde risale all'età giovanile. Benché decisamente eterogenea nei temi, nei motivi e nello stile, questa raccolta costituisce indubbiamente
un prezioso documento del gusto dell'età vittoriana. D'altro canto, questo "canzoniere" lieve e raffinatissimo, ora ispirato al medioevo preraffaelita, ora classicheggiante, ora impressionista, presenta tutte le matrici originarie dei caratteri tipici che contraddistinguono le opere più note dello scrittore dublinese, e in particolare le sue superbe opere teatrali.
Se ai tempi di Wilde era l'omosessualità a obbligare al segreto e a nascondersi, a essere proibita e soggetta al carcere, oggi la diversità della sofferenza può essere incarnata dalla malattia del ventesimo secolo, che è diventata simbolo di sacrificio, vera e propria cultura, sostiene Gaia Servadio. Del resto, "non è vero, anche se è stato spesso ripetuto, che Wilde scrisse Salomè pensando a Sarah Bernhardt: era Alfred Douglas la persona che aveva ispirato la sua concezione del personaggio". Wilde scrisse l'opera originariamente in francese, per poi assistere e aiutare Douglas nella sua traduzione inglese. In quest'edizione sono presentate entrambe le versioni dell'opera.
Il "De profundis" (1897) è fra le ultime opere del grande autore irlandese. Composta in parte durante la sua detenzione nel carcere di Reading, si presenta in forma di lettera indirizzata al giovando amante Bosie. È un testo ricco di motivi e provocazioni intellettuali, ove non manca il consueto atteggiamento di ribellione contro il conformismo bigotto della società dell'epoca vittoriana, ma neppure un certo vittimismo di matrice romantica, né quel gusto per la teatralità e l'istrionismo - la maschera e il volto - che, a dispetto delle circostanze, sempre contraddistingue la scrittura di Oscar Wilde. Centrale rimane comunque nell'opera il tema dell'inevitabile isolamento dell'artista moderno. Introduzione di Silvia Mondardini.
Nel mondo dell'"upper class" britannica, l'aristocratica Guendalina manifesta la sua predilezione per il nome Ernesto (Ernest, nella lingua inglese, si pronuncia come la parola earnest, aggettivo utilizzato per indicare colui che è serio, coscienzioso, franco) e il giovane Giovanni Worthing (Nino) ha assunto tale nome allo scopo di farle la corte, inventandosi pure un fratello scapestrato, impersonato dall'amico Algernon, che ama a sua volta la piccola Cecilia e che approfitta dall'inganno escogitato dal primo per starle accanto. La vicenda, da sempre rappresentata sui palcoscenici di tutto il mondo, si snoda in maniera quanto mai brillante, sospesa com'è fra equivoci geniali e dialoghi superbi che Wilde sa abilmente condurre sino a un lieto fine che, ancora una volta, conferma il paradosso della superiorità delle parole sui fatti anticipando tutte le risultanze del teatro dell'assurdo.
Scritti in uno dei periodi più sereni della vita di Oscar Wilde, questi racconti sono favole tenere e sentimentali, nate probabilmente per essere raccontate ai figli piccoli, nei confronti dei quali egli era padre affettuoso e compagno di giochi, storie che hanno il pregio di toccare con la stessa forza l'animo dei lettori maturi e di quelli più giovani, attraverso mirabili personaggi: dal Principe felice, una meravigliosa statua che rinuncia alla sua bellezza materiale solo per il desiderio di fare del bene, all'Usignolo che si sacrifica inutilmente in nome dell'Africa, al Gigante che, pentitosi del suo egoismo, apre il suo giardino ai bambini e, una volta diventato vecchio, viene accompagnato in Paradiso dal bambino che aveva amato di più. Con il suo inconfondibile talento e la sua malinconica ironia, Oscar Wilde regala al lettore grandi fiabe, narrate con uno stile leggero, in esatto equilibrio fra necessità e divagazione, sintesi e ricchezza immaginativa.
''Ognuno vede il proprio peccato in Dorian Gray'' afferma Oscar Wilde. La sua opera più nota è diventata il manifesto del decadentismo e dell'estetismo, ma è soprattutto uno dei romanzi più raffinati e impetuosi mai scritti. Gli atelier di pittori, il teatro, le cene della nobiltà londinese, la ricerca del piacere portata alle estreme conseguenze: questi gli ingredienti di una storia intramontabile. Dorian Gray, ossessionato dalla paura di perdere la bellezza, l'unica risorsa per cui valga la pena di vivere, ottiene grazie a un sortilegio che il tempo non segni il suo corpo ma soltanto il suo ritratto. Così può abbandonarsi agli eccessi mantenendo intatta la giovinezza e la perfezione del suo viso. Ma che ne è dell'anima?
Titolo originale: ''The Picture of Dorian Gray''.
Questi due saggi di Oscar Wilde sono dei veri e propri testi letterari e fanno parte della raccolta "Intentions" del 1891. "Il critico come artista" (1890) è scritto in forma di dialogo tra due amanti in una notte stellata: Gilbert (che impersona le idee di Wilde) ed Ernest discutono sul significato della critica d'arte. Il discorso si trasforma in un elogio dell'arte e dei suoi fini. L'arte e la critica, per Wilde, hanno un valore eversivo e sono in contrapposizione alla società. Da qui nasce il secondo saggio, "L'anima dell'uomo sotto il socialismo" (1891), dove si esprimono, forse in risposta al socialismo di George Bernard Shaw, le idee anarchiche di Wilde. Introduzione di Silvio Perrella.
Dotato di un soprannaturale talento per la frase a effetto, il gioco retorico e la prestidigitazione verbale, Wilde è il maestro riconosciuto dell'aforisma. In questa raccolta, che attinge sia dalla produzione prettamente aforistica sia da quella narrativa e drammatica del grande autore inglese, è racchiusa una completa panoramica del suo genio, ordinatamente disposta per tematiche in modo da facilitare la consultazione. "Spesso penso che Dio, nel creare l'uomo, abbia in qualche modo sopravvalutato la Sua capacità": difficile, pensando a Oscar Wilde, essere d'accordo con lui.
Da più di tre secoli, quando le tenebre della notte sono rischiarate dai lumi delle candele, nelle antiche sale del castello di Canterville si aggira inquieto lo spettro di Sir Simon. Terrificante e diabolico, non c'è efferatezza che non abbia compiuto pur di terrorizzare gli incauti inquilini. Eppure, quando arriva il turno di una sfrontata famigliola di americani, i suoi occulti poteri vengono sconfitti a colpi di fionda e scetticismo. Il povero spettro sta per essere sopraffatto dalla stanchezza e dalla malinconia, ma la dolce Virginia ascolterà il suo lamento e cambierà per sempre il suo destino. Età di lettura: da 9 anni.